Coronavirus e Fase 2. Il grande dilemma: riaprire le scuole sì o no?

Secondo il Great Ormond Hospital di Londra è improbabile che i bambini siano vettori principali di COVID19 e necessitino di distanziamento sociale

Ma riaprire le scuole è sicuro oppure no? Il grande dilemma della Fase 2 dell’emergenza Coronavirus è quello che interessa gran parte delle famiglie italiane, alle prese con il rientro a lavoro da un lato e la necessità di gestire i figli nella quotidianità dall’altro. Un articolo scritto a più mani da un pool di esperti (Luca Scorrano, Università di Padova, Francesco Cecconi, Danish Cancer Society Research Center, Guido Silvestri, Emory University School of Medicine, Atlanta, Leonardo Salviati, Università di Padova e Massimo Zeviani, Università di Padova) e pubblicato su Il Sole 24 Ore domenica 3 maggio analizza la situazione e i pro e i contro di una scelta critica: “la ripartenza dell’anno scolastico può far impennare i casi di COVID-19, come enunciato da un documento apocalittico circolato sulla stampa nei giorni scorsi e indicato quale base perlevalutazioni del Governo? Il rischio non vale quindi la candela della didattica in presenza? Per rispondere abbiamo effettuato un’accurata disamina fondata su due concetti cardine della scienza medica (anche in sanità pubblica): la conoscenza della biologia del patogeno, in questo caso del virus Sars-CoV-2, e l’analisi del rapporto rischio/beneficio. La conoscenza della biologia di Sars-CoV-2, o di virus simili, e del ruolo dei bambini nell’epidemia di COVID-19 consente di prevedere ragionevolmente l’andamento della malattia e comprenderne i potenziali rischi. Ogni anno, tra novembre e marzo, circa il 120% dei raffreddori sono causati da coronavirus. Questi si trasmettono per via aerea, in goccioline espulse da individui infetti conio starnuto (40.000 goccioline), la tosse o parlando (3.000 goccioline per colpo di tosse o 5 minuti di fonazione). Temperatura ambientale e umidità relativa influenzano formazione e persistenza delle goccioline e quindi sopravvivenza dei coronavirus: è noto dagli anni ’70 che a temperature miti e umidità intermedie la sopravvivenza dei coronavirus si riduce del 75% rispetto a temperature e umidità inferiori. Inoltre, poiché la capacità di infettare dipende dalla quantità di virus trasmessa, le infezioni si diffondono soprattutto in ambienti chiusi, in cui gli individui si trattengono a lungo e in grande prossimità. Quindi, i raffreddori causati da coronavirus tendono a scomparire conia stagione calda per tre ragioni: le goccioline veicolo dei coronavirus non si formano efficientemente ed evaporano rapidamente, riducendo la sua sopravvivenza; l’areazione dei locali riduce ulteriormente la quantità di virus che circola al chiuso; la tendenza alla vita all’aperto aumenta il distanziamento sociale. Anche chi si dovesse infettare, verrebbe colpito da molte meno particelle virali e la gravità dell’infezione sarebbe ridotta al punto da non far comparire sintomatologia da raffreddore”.

Coronavirus, Fase 2 e scuole: “la biologia suggerisce che COVID19 scemerà con la bella stagione”

Per quanto riguarda i bambini, quindi, “la biologia dei coronavirus suggerisce quindi che COVID19 ragionevolmente scemerà con l’arrivo della bella stagione e, in Europa, dati sierologici e da tamponi indicano che bambini e ragazzi fino a 14 anni molto probabilmente non sono in grado di prendere e/o di diffondere l’infezione efficientemente”.

Relativamente alla questione circa costi e benefici, gli autori spiegano che “il rischio zero non esiste e che tutte le pratiche mediche sono caratterizzate da un rischio intrinseco e da un beneficio atteso. Il primato della didattica in presenza su quella a distanza è stato ricordato dall’UNESCO, in relazione alla definizione OMS di salute: ‘uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia’. Per gli alunni, dai più piccoli agli adolescenti, e soprattutto per quelli con necessità speciali, la scuola è il luogo del benessere, cioè della salute. I rischi possono invece essere i seguenti: i bambini hanno molti contatti e veicolano l’infezione in edifici inadatti a favorire il distanziamento sociale“, ma, comunque, “i dati in nostro possesso indicano che è poco probabile che i bambini siano infettati e soprattutto infettivi. Inoltre, una meta-analisi condotta dal Great Ormond Hospital di Londra suggerisce che la chiusura delle scuole riduca le epidemie respiratorie al massimo del 10%. È quindi improbabile che i bambini siano vettori principali di COVID19 e necessitino di distanziamento sociale. I ragazzi della scuola media inferiore e superiore potrebbero rappresentare un rischio basso/moderato di trasmissione, mitigabile grazie alle attuali condizioni climatiche: lezioni all’aperto, ventilazione delle aule, adozione di DPI nei casi in cui sia possibile; oppure considerato troppo elevato da parte del decisore politico“. Sempre parlando di rischi, “la compresenza dei genitori i all’entrata/uscita favorisce la diffusione del virus. Qualora entrata ed uscita fossero all’aperto, varrebbero le considerazioni di cui sopra sulla limitazione della diffusione del virus nella bella stagione, riducibile ulteriormente con il distanziamento sociale“, e “la compresenza di lavoratori e studenti sui mezzi di trasporto pubblici favorisce la diffusione del virus. L’utilizzo di DPI può ridurre anche in questo caso la probabilità di diffusione del virus”.

La conclusione degli esperti è che, “forse, alla luce di valutazioni basate su elementi più ‘biologici’ della modellistica matematica, le scelte del decisore politico sulla scuola potrebbero essere riconsiderate”.