Donne e bambini schiavi, ONU: “Ma i governi negano il traffico di esseri umani”

(New York) Hanno mani da bambino, occhi di donna, visi giovanissimi. Hanno vite fantasma: è il popolo degli invisibili, gli schiavi del pianeta. Il 20%, a livello mondiale, sono bambini. Ma diventano la maggioranza in alcune regioni dell’Africa e del Delta del Mekong, dove il business dei più piccoli sui mercati della schiavitù cresce in modo agghiacciante. A causa della povertà, finiscono abusati in mano ai pedofili, o preda di aguzzini che li sfruttano per cucire borse, raccogliere cacao, chiedere l’elemosina, farne soldati spietati addestrati a uccidere prima che a leggere. L’80% del traffico di esseri umani è finalizzato allo sfruttamento sessuale, il 18% al lavoro forzato. Sono soprattutto le donne a essere vendute e schiavizzate per finire sul mercato del sesso.

Nel 30% delle nazioni, anche i trafficanti sono in maggioranza donne: le ex-vittime diventano carnefici a loro volta. La schiavitù moderna è “vicina di casa”, la maggior parte dei traffici avviene all’interno dei confini nazionali. È il quadro fornito dall’Ufficio delle nazioni unite contro la droga e il crimine (Unodc), che ha presentato a New York il primo rapporto sulla tratta delle bianche. E il direttore esecutivo dell’Undoc, Antonio Maria Costa, lancia l’allarme: “rischiamo di combattere alla cieca per la mancanza di informazioni, dovuta all’ostruzionismo dei governi, molti dei quali negano ancora l’esistenza del traffico di esseri umani”.

Il dossier non fa mistero dei suoi molti limiti, come quello dell’impossibilità di stimare una cifra globale degli esseri umani ridotti in schiavitù. Un fenomeno che sfugge alle statistiche ufficiali e che spesso è fuori dalla giustizia penale. Ad esempio, il dato sul lavoro forzato è sicuramente sottostimato per la scarsa visibilità del fenomeno. A differenza della prostituzione, che avviene sulle strade, i laboratori sotterranei sono difficili da individuare, sottolinea il rapporto. Sempre secondo l’Onu, il loro numero reale è destinato ad aumentare “per l’acuirsi della crisi economica , che avrà come conseguenza una maggiore richiesta di beni e servizi a prezzi molto bassi”. L’indagine si basa sui casi denunciati, le vittime e il numero di processi in 155 Paesi partecipanti, fra cui quasi tutti i più grandi del mondo. Tra gli assenti illustri troviamo la Cina, la Libia e la Tunisia, da anni al centro di inchieste e denunce sui traffici e le violazioni dei diritti umani. Il numero di sentenze contro i trafficanti di schiavi è in aumento solo in alcuni Stati, nella maggior parte si attesta sull’1,5 ogni 100.000 abitanti, un livello particolarmente basso in relazione al presunto numero di vittime. Nel 2007-2008 il 20 per cento delle nazioni del mondo non ha emesso una sola sentenza di questo tipo.

Il rapporto fa il punto sulle misure legislative adottate dal 2003, quando è entrato in vigore il Protocollo delle Nazioni Unite contro il traffico di esseri umani, principale accordo internazionale in materia. Da allora, il numero degli Stati che lo hanno applicato è raddoppiato. Ma esistono nazioni, soprattutto in Africa, che ancora non hanno la volontà o i mezzi per mettere in atto strumenti giuridici di contrasto. Solo sei anni fa, appena un terzo dei 155 Paesi esaminati aveva nella legislazione delle norme contro il traffico di esseri umani. A novembre del 2008, il 63 per cento di questi Stati aveva adeguato la normativa, votando delle leggi specifiche anche contro lo sfruttamento della prostituzione e il lavoro forzato.

(fonte: Redattore Sociale)