Elezioni politiche 2022. Come accogliere sempre meglio mamme e bambini in difficoltà

L’aumento delle richieste di inserimento in comunità e in casa-famiglia pone con sempre maggiore urgenza la necessità di dare nuove risposte a un settore che si regge sulle forze delle Associazioni e sul lavoro, sottopagato e poco considerato, degli educatori

In campagna elettorale, chi parla di “accoglienza” si riferisce automaticamente ai problemi legati all’immigrazione e la gestione dei profughi. Quasi nulla si trova, invece, sull’accoglienza che riguarda un’altra categoria di persone: le mamme e i bambini, ma anche gli adolescenti e i care leavers. Eppure, non è un fenomeno di poco conto, visto anche il deciso aumento delle richieste avuto nell’ultimo anno.
Solo rimanendo ad Ai.Bi., nei primi sei mesi del 2022 le richieste per le comunità mamma-bambino hanno già praticamente raggiunto le richieste totali arrivate nel 2021. Un po’ meno per quanto riguarda gli alloggi mamma-bambino, ma il trend è comunque in crescita e porterebbe a superare i numeri dei due anni precedenti. Le richieste per le comunità educative per adolescenti, invece, in 6 mesi hanno già superato il totale dell’anno scorso.
Davanti a tutto questo gli sforzi di Ai.Bi. e delle altre Associazioni sono encomiabili nel cercare di offrire la risposta più adeguata, ma è innegabile che le difficoltà siano tante e che il “silenzio” da parte delle autorità faccia male.
Da qui, Ai.Bi. ha pensato ad alcune proposte che potrebbero aiutare in maniera concreta e decisiva tutto il comparto, con l’unico obiettivo di garantire un’accoglienza sempre migliore alle mamme e i bambini in difficoltà.

Maggiori riconoscimenti. Per gli operatori e per gli ospiti da accogliere in comunità

Sicuramente, a fronte dell’aumento delle richieste, ci vorrebbero maggiori servizi di prevenzione pre-inserimento, che potrebbero anche evitare di dovervi ricorrere. È Indispensabile, inoltre, prevedere una maggior definizione delle attivazione dei servizi specialistici necessari per un lavoro di rete e “in” rete.
Non si può negare, poi, che molti progetti subiscono rallentamenti e/o difficoltà per questioni economiche: i limiti della disponibilità economica da parte del comune di residenza per la gestione del progetto portano inevitabilmente all’allungamento dei tempi.
Ulteriori investimenti sarebbero necessari anche per quanto riguarda la creazione di percorsi per favorire l’inserimento lavorativo e/o tutte quelle azioni che possano portare alla vera autonomia individuale (per gli adolescenti) o per l’intero nucleo familiare. In particolare, sarebbe necessario inserire tra le “categorie protette” tutte le persone che nella vita hanno avuto bisogno di un aiuto sociale, garantendo un percorso agevolato per trovare più facilmente un posto di lavoro. È importante anche avere dei percorsi agevolati per essere inseriti nelle case popolari: una casa e un lavoro, infatti, sono elementi essenziali per l’autonomia di chi per un certo periodo della sua vita ha necessitato dell’aiuto sociale. Questo sarebbe anche un modo per evitare che si vadano a perdere quegli aiuti che hanno avuto anche un costo sociale per la comunità.

Accogliere: una questione culturale

Ci sono poi una serie di proposte che coinvolgono anche il lato più culturale. Prima tra tutte quella di un maggiore approfondimento sulla figura paterna, pensando a progetti con la figura del papà, ove la mamma non sia ritenuta una risorsa o non regga la comunità, oppure ove il minore sia già stato allontanato. In questo modo, inoltre, se entrambi i percorsi si mostreranno fallimentari, la situazione giuridica del bambino potrà essere immediatamente più chiara per i Tribunali per i minorenni, così da evitare situazione di limbo a livello progettuale.
A monte di tutto questo c’è, poi, un discorso più generale di fondo, ed è quello di valorizzare il lavoro sociale sotto tutti i punti di vista, anche contrattuale.
In questo senso, è auspicabile che gli stipendi vengano equiparati a quelli di altre categorie; che vengano migliorati i contratti collettivi nazionali; che vi sia un riconoscimento del valore sociale e culturale degli operatori del terzo settore: se nel periodo Covid il personale sanitario è stato, giustamente, elogiato da tutti, gli educatori non sono stati nemmeno menzionati. Eppure, anche loro hanno fatto turni massacranti per garantire le coperture nelle case famiglie e nelle comunità; hanno gestito focolai, contagi e quarantene; hanno assicurato la continuità dei progetti nonostante le restrizioni e le difficoltà.
Bisogna comprendere che il lavoro sociale si applica anche in contesti e momenti informali: per esempio, quanto un educatore è al parco con dei minori, non è in pausa, ma porta la sua professionalità in un contesto diverso, che tra l’altro è più a rischio, sotto diversi punti di vista, rispetto a un ufficio.
Bisogna considerare adeguatamente i rischi che corre un educatore: il rischio sanitario, per esempio, oppure l’esposizione a situazioni che possono essere pericolose non solo per gli utenti di cui ci si sta occupando, ma anche per gli operatori stessi; o, ancora, il rischio di bornout, dove a rischio non si mette solo il lavoro, ma anche la propria vita privata, nei casi peggiori. Il lavoro a diretto contatto con gli ospiti porta a vivere la loro quotidianità, le loro gioie ma anche le loro frustrazioni e dolori: occorre fare un grande lavoro su se stessi per mantenere l’equilibrio e la lucidità, ma l’eventuale terapia psicologica degli educatori e a carico individuale di ciascuno di essi.