ESG e Imprese. S alla seconda: la ricerca di Goodpoint sulla la sostenibilità sociale delle aziende

“Sempre di più i giovani assunti sono interessati a che l’azienda in cui lavorano si impegni e operi nell’ambito della sostenibilità, dell’inclusione e del benessere aziendale tanto che questi aspetti possono essere dirimenti.” Dal coinvolgimento dei dipendenti alla collaborazione con il terzo settore: un nuovo paradigma di sostenibilità aziendale

Le relazioni tra le persone sono un valore, hanno un impatto e non sono in contraddizione con la realizzazione dell’impatto sociale di impresa; la “S” degli ESG è molto rilevante nel reporting di sostenibilità delle aziende; le organizzazioni del terzo settore rivestono un ruolo essenziale in questo quadro, partner ideale per le imprese che perseguono obiettivi di sostenibilità.

S alla seconda: la ricerca di Goodpoint

Sono queste alcune delle conclusioni e delle molte riflessioni innescate dai risultati di una ricerca condotta da Goodpoint, S alla seconda. Collaboratori e comunità: persone dentro e fuori l’azienda recentemente presentata a Milano: un lavoro utile anche ai fini di stimolare nuove proposte di partnership tra imprese e organizzazioni del terzo settore.
Obiettivo primario dello studio è stato comprendere meglio l’impatto delle “politiche sociali” delle imprese in un’epoca in cui questa attenzione è diventata parte integrante dell’agire aziendale: non solo in relazione all’impegno rivolto all’interno verso dipendenti o fornitori, ma anche in alleanza con organizzazioni della società civile.
“Abbiamo realizzato una ricerca che ha coinvolto piccole e grandi aziende per comprendere come queste interpretano la S degli ESG, acronimo per Environmental Social, e Governance ovvero le tre aree per verificare, misurare, controllare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità – spiega Nicoletta Alessi, fondatrice e presidente dí Goodpoint – Spesso le aziende si focalizzano sulla governance e sulla sostenibilità ambientale e meno sull’impatto che la S di social può avere. A oggi abbiamo infatti verificato come la S “arranchi” perché nella percezione e nel vissuto comune, quando si parla di sostenibilità, si dà peso maggiore all’impatto sull’ambiente e alla governance”.
La ricerca evidenzia innanzitutto come sulla S degli ESG vi sia ancora confusione nell’opinione pubblica : “Non è percepita come urgente, viene ritenuta un obiettivo da raggiungere da parte di altri (Stato, istituzioni,. etc.) e non delle aziende; inoltre in una logica di misurazione in base a standard – “quello che non si misura non esiste” – la S è considerata difficile da misurare – aggiunge Alessi -. A questo si aggiunge il fatto che i media non offrono molto spazio: in base alla nostra rassegna stampa del 2023 solo il 21%dei media approfondisce gli aspetti di impatto sociale, mentre il 79% scrive o racconta di sostenibilità in generale o di progetti specifici”.

I segnali positivi

Tuttavia dalla ricerca emergono aspetti interessanti, segnali di possibili cambiamenti. Nei loro reporting di sostenibilità, le aziende confermano che nell’ambito delle loro strategie la S è prevalente (oltre il 70%delle intervistate) e può essere una leva interna per l’innovazione. Inoltre – dato interessante per le associazioni del terzo settore – lavorare sulla S può permettere di acquisire nuove skill cioè competenze non presenti in azienda ma importanti per conseguire gli obiettivi di impatto sociale.
La ricerca di Goodpooint conferma che perseguire gli obiettivi di impresa con un impatto su persone e comunità non solo è possibile ma anche auspicabile dai dipendenti, in particolar modo dai millennials:
“Sempre di più i giovani assunti sono interessati a che l’azienda in cui lavorano si impegni e operi nell’ambito della sostenibilità, dell’inclusione e del benessere aziendale – dice Alessi – tanto che questi aspetti possono essere dirimenti.

Si può fare di più

Insomma, le aziende che hanno partecipato alla ricerca hanno ammesso che si può fare di più. Dunque quali sono le leve per il cambiamento? “Innanzitutto per sviluppare la S si deve rafforzare il coinvolgimento dei dipendenti e questo dato indica quanto ci sia ancora spazio per il sociale e la comunità – spiega la fondatrice di Goodpoint – In secondo luogo le aziende cercano l’innovazione perché la filantropia classica non basta più. Infine, alla luce degli standard del reporting, occorrono dati da utilizzare per rendicontare sempre meglio l’impatto sociale”.
In questo quadro anche il terzo settore deve fare uno scatto in avanti “in quanto il vecchio modello di partnership con le aziende, unicamente basato su relazioni e sostegno economico non interessa più – conclude Nicoletta Alessi – Le aziende cercano altro nelle organizzazioni con cui vogliono stringere partnership, non solo panettoni o prodotti solidali”.
Uno stimolo quindi per il terzo settore a essere creativo e soprattutto preparato rispetto alle attuali esigenze dell’azienda: le organizzazioni possono valorizzare il loro patrimonio interno di conoscenze e competenze e renderle appetibili, attraverso proposte di partnership che di fatto le aiutano a perseguire gli obiettivi di sostenibilità.