Il limbo dei bambini in affido. Ecco come si può sconfiggere

bambini-che-giocanoContinua il servizio di approfondimento del “Corriere della Sera” su un tema delicato che trova poco spazio sulle pagine dei giornali, ma che in Italia riguarda più di 16mila minori: l’affido familiare. Uno strumento di accoglienza che, come ben evidenzia l’articolo del quotidiano, si trasforma in un limbo per i minori che la vivono, una condizione fisica e giuridica sospesa sine die.

Bambini che rimangono in una zona grigia e indefinita per anni in attesa di poter tornare a vivere con la famiglia di origine o, laddove non sia possibile, di interrompere per sempre il rapporto con i loro genitori e avere la possibilità di essere adottati. Per legge dovrebbero essere due gli anni di durata dell’affido, un periodo entro il quale si dovrebbe definire, una volta per tutte, la condizione dei bambini. Nella realtà spesso accade, invece, che i due anni si protraggano per quattro, addirittura sei anni, oppure che il minore passi da una coppia affidataria a un’altra, in attesa che si risolvano i problemi della famiglia di origine.

Una situazione che di fatto crea gravi danni ai bambini affidati.

Per questo Ai.Bi. ha chiesto una modifica della legge che regolamenta l’affido familiare (184/1983). Tre le proposte nel testo curato dall’associazione (“Riflessioni e proposte per la riforma della legge 184/1983) per tentare di togliere dal limbo migliaia di bambini: garantire la reale temporaneità dell’affido, dare al privato sociale il ruolo di gestore dell’affido, dare riconoscimento giuridico della Casa Famiglia.

Il procedimento di allontanamento di un minore dalla propria famiglia d’origine deve essere immediato, laddove ne ricorrano i presupposti. E’ quindi opportuno fissare un termine temporale breve (ad esempio 30 giorni) entro il quale ogni ente coinvolto dovrà assumere gli opportuni provvedimenti di propria competenza. Si dovrà inserire un limite temporale non prorogabile per la durata del progetto di affidamento. Potrebbe trattarsi della previsione dei due anni indicati nella legge 184, oltre i quali andrà obbligatoriamente effettuata la scelta fra il rientro del minore nella famiglia d’origine o l’apertura del procedimento per dichiararne l’adottabilità, salvo casi eccezionali di proroga dell’affidamento.

Le associazioni sono già in grado di agire e confrontarsi sulle tematiche relative all’affido, sulle sue modalità di attuazione, sul concreto significato della relazione affettiva ed educativa di cui il minore necessita. E’ importante realizzare il coordinamento tra associazioni familiari e servizi sociali rispetto alle attività svolte da entrambi e, al contempo, conferire alle associazioni familiari una maggiore autonomia nell’implementazione delle attività legate all’affido. In questo modo si raggiungerebbero due importanti obiettivi: valorizzare le realtà familiari operanti sul territorio e quindi più vicine ai genitori in difficoltà, offrire un valido supporto ai servizi sociali locali.

Infine Ai.Bi. propone il riconoscimento giuridico della Casa Famiglia e la chiusura delle comunità educative entro il 2015. Ad oggi la legge prevede che l’affidamento dei minori allontanati dalla propria famiglia d’origine sia svolto all’interno di famiglie affidatarie o di comunità educative; queste ultime si sono sostituite agli istituti e sono caratterizzate dalla presenza di minori in numero limitato. Le comunità educative, come gli istituti, non danno al bambino alcun riferimento a figure genitoriali, idonee a garantire al minore un’equilibrata formazione della propria identità. Il bambino ha bisogno di poter contare su una figura genitoriale, non un operatore. Per questo la Casa Famiglia, gestita da una coppia di genitori sposati, dovrebbe essere riconosciuta giuridicamente e sostituirsi progressivamente alle comunità educative. Il limite temporale proposto da Ai.Bi. è improrogabile: il 31 dicembre 2015.