Il nuovo affido: famiglia per mamme e bebè

Sono ancora piccoli numeri quelli che riguardano l’affido madre bambino in Italia. Non solo perché si tratta di una strada poco conosciuta e poco battuta, ma anche perché «tenere tra le braccia un figlio piccolo e non tuo non è un’impresa da poco», soprattutto quando c’è anche la madre di cui farsi carico, come spiega Ondina Greco, psicoterapeuta di coppia e della famiglia che lavora presso il Servizio di psicologia clinica dell’Università Cattolica di Milano.

In un momento in cui, dopo la sentenza della Cassazione, si è acceso il dibattito se sia giusto o no dare in adozione un bimbo a un single, sembra quasi controcorrente questa forma di affido che tira in ballo la più assoluta gratuità e apertura all’altro. Anzi, agli «altri», perché si tratta di due genitori che decidono di misurarsi con i problemi legati a un bimbo piccolo e a un adulto, e questo duplice «arrivo» potrebbe anche finire per scombussolare l’equilibrio familiare. «L’affido madre-figlio – spiega Ondina Greco – è però la formula migliore affinché i due restino in una continuità relazionale che li faccia crescere. È un intervento complesso che si basa su un’ipotesi mirata: quella che salvaguardando fin dall’inizio la relazione madre-bambino, venga facilitata la crescita delle capacità genitoriali della madre in difficoltà, fino a permetterle di vivere meglio e gestire i bisogni concreti e affettivi del bambino».

Dunque prendere in affido per dare un’altra possibilità alla famiglia naturale e non con l’intenzione di allargare la propria.

Insieme con due colleghe psicologhe, Ivana Comelli e Raffaella Iafrate, Ondina Greco ha condotto un’indagine partita nel 2007 e pubblicata da FrancoAngeli con il titolo Tra le braccia un figlio non tuo (pagg. 206, euro 24,50). «Spesso l’affidamento di neonati senza la madre – prosegue la psicologa – scatta quando la situazione della famiglia d’origine è già molto carente. Anche in questo caso, come per quello dell’affido della ‘coppia’ madre-figlio, si tratta di una sfida ricca e complessa sia per gli operatori che per gli affidatari: è fondamentale infatti che madre e padre (quando c’è) naturali siano sempre presenti nell’orizzonte di tutti».

L’indagine in questione ha coinvolto 37 coppie scelte tra chi ha avviato l’affido di neonati tra Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. In un caso su due il bambino dopo l’affido è andato in adozione. È chiaro nel «contratto» con i «genitori a tempo» che il bambino, conclusa l’esperienza, trovi una famiglia tutta sua. «Nel 24% dei casi – spiega la Greco – l’affido si è trasformato in un affido a lungo termine, mentre solo uno su cinque riesce a tornare dai genitori naturali».

In generale la durata dell’intervento con i neonati, proprio per la sua delicatezza e per le gravi ripercussioni che potrebbe avere per tutti un distacco tardivo, va dai 6  ai 12  mesi. «Si scelgono genitori che hanno già accolto altri bambini: sanno a cosa vanno incontro e possono affrontare al meglio il momento della separazione». Nelle interviste e nei disegni delle coppie affidatarie, tra l’altro, emerge che i figli naturali sono molto coinvolti nella scelta di tutta la famiglia di aprirsi all’affido, ma anche nell’accoglienza del neonato o di madre e bambino: «Provano sani sentimenti di tristezza e di dolore alla fine del periodo – continua la psicologa – quando il piccolo se ne va».

Ma affido madre-figlio significa anche che gli operatori sociali devono compiere un «salto», «rivalutando il bambino come ‘figlio di…’ e quindi seguendo la madre (o i genitori naturali) che deve sempre essere tenuta presente, anche nell’eventualità più diffusa che all’affido non prenda parte. Se la famiglia d’origine con tutti i suoi problemi non è aiutata a cambiare – la Greco insiste molto su questo punto – come sarà possibile che quel bimbo le venga restituito?».

Un legame, quello con la mamma, che è forte anche se si tratta ancora di neonati (studi e ricerche sul rapporto tra madre e figlio nella sua vita fetale lo mostrano bene fin dalle prime settimane di vita). È per questo che si sceglie di salvaguardare questa unione attraverso l’affidamento di entrambi, anche se è difficile per operatori e affidatari confrontarsi con chi ancora fatica a stare di fronte a suo figlio.

(Fonte: Avvenire del 20/2/2011)