Il ricordo di Laura Scotti: una vita per il Kosovo

Francesca Mineo autrice del libro “I 189 giorni di Laura. Da Milano al Kosovo, una storia esemplare di volontariato internazionale” ricorda Laura Scotti, ad undici anni esatti dalla sua scomparsa.

Ha ancora senso, dopo 11 anni, parlare di una donna, una collega di Ai.Bi. che è morta in Kosovo, durante una missione? Le cronache hanno già dimenticato quel 12 novembre 1999, un venerdì, come oggi, che doveva essere uno dei tanti nella routine dei volontari internazionali che nei Balcani stavano partecipando alla ricostruzione dopo la guerra. L’aereo su cui volava Laura e altri colleghi di ong e agenzie internazionali cadde poco prima di atterrare a Pristina, sul monte Piceli.

Ogni volta che penso a Laura Scotti, la ragazza dai capelli rossi protagonista del libro uscito l’anno scorso – “I 189 giorni di Laura. Da Milano al Kosovo, una storia esemplare di volontariato internazionale” (Ancora, collana amici dei bambini) – ricordo una frase di Isabel Allende quando scrive che non esiste definitiva separazione finché esiste il ricordo.

E’ così: Ai.Bi e tutti coloro che hanno conosciuto e ricordano Laura non se ne vogliono separare perché è importante coltivare la memoria e fare in modo che questa memoria diventi collettiva, in un’epoca votata alla rincorsa di notizie incapaci di conservare la forza della ‘storia’. In Kosovo centinaia di persone, se non di più, sanno perfettamente chi è Laura Scotti e che cosa ha fatto per il loro paese. La chiamano ancora oggi ‘la kosovara’ e fu per me una sorpresa ripercorrere le orme di questa donna, dieci anni dopo, e scoprire che il tempo è solo uno stato della mente.

Per chi ha incontrato Laura, la sua voglia di condividere gioie e tragedie di un popolo ridotto alla miseria, oggi è ancora il 1999, un anno doloroso, ma speciale. Come mi disse un’insegnante di Peja, che la conobbe durante le missioni, Laura è stata “l’ospite migliore che ha reso breve la nostra notte”.