La crisi della adozione internazionale non si cura con una aspirina: occorre una urgente riforma. Gli Enti Autorizzati devono ripartire da zero

adozion350Non sarà la nomina del Vice presidente della Commissione per le Adozioni Internazionali, la panacea di tutti i mali che affliggono il settore. Non sarà un generico “grido di allarme” a risolvere una crisi che ha radici ben più profonde, e che ha portato a perdere quasi mille famiglie adottive nell’arco di 4 anni, ovvero circa una su tre.

Dallo scarno comunicato congiunto partorito durante l’incontro auto-convocato dello scorso 23 gennaio, si evince innanzitutto come manchi, ad alcuni Enti Autorizzati, una reale e concreta intenzione di rivedere radicalmente l’attuale sistema delle adozioni internazionali in Italia. Fino al punto, perché no, di mettere in discussione l’esistenza degli enti stessi.

A dover essere riformato sin dalle fondamenta, infatti, è l’intero assetto legislativo che regolamenta le adozioni,  dal momento che quello attuale, rivelatosi fallimentare, non gode certo di grandi prospettive.

Oggi, quella delle adozioni internazionali è una vera e propria giungla, all’interno della quale ciascun ente è libero di operare come meglio crede, praticando – di fatto – i prezzi che vuole, in assenza di controlli effettivi e di garanzie reali per le famiglie adottive. Famiglie che, peraltro, spesso sono costrette a “emigrare” da una regione all’altra per trovare assistenza, in virtù di un sistema – per certi versi assurdo – che suddivide per macroaree il territorio di competenza, garantendo la sopravvivenza anche a enti piccoli e scarsamente rappresentativi, privi persino di sedi regionali. L’assenza del requisito della sede regionale, peraltro, oltre che andare a svantaggio delle coppie, ha precluso fino a oggi la possibilità di attuare dei protocolli operativi con le Regioni stesse, impedendo di ottimizzare e coordinare l’attività di enti, servizi sociali e amministrazioni locali.

“Ci chiediamo che futuro possano avere tutti quegli enti minori che, messi insieme, rappresentano solo il 20% delle adozioni effettuate in un anno. Non sarebbe meglio che si riunissero, ad esempio, in un consorzio?, sottolinea Marco Griffini, Presidente di Amici dei Bambini. “Come è possibile, in queste condizioni, pensare di avanzare ipotesi di riforma che prevedano – fra le altre cose – la gratuità dell’adozione, l’innalzamento dei requisiti organizzativi, le norme di accompagnamento all’estero, la presenza capillare sul territorio?”

Urge dunque una riforma radicale, che ridefinisca in modo preciso e restrittivo gli standard e i requisiti degli Enti Autorizzati, riducendoli a non più di 20, come accade in quasi tutti gli altri paesi. Enti che possano vantare una “offerta” minima di almeno 5 sedi regionali e 10 paesi operativi all’estero, così da dare più possibilità e prospettive alle coppie adottive.

“A questo punto, ciascun ente dovrebbe rimettere la propria autorizzazione nelle mani della CAI, commenta provocatoriamente Griffini, “così da fare tabula rasa e riscrivere le regole da capo. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori.”

Un altro fronte di intervento riguarderebbe i costi, che andrebbero razionalizzati – paese per paese – attraverso la fissazione di tabelle vincolanti e non facoltative, così da venire incontro alle famiglie con tariffe più contenute e congrue, e agevolare allo stesso tempo l’individuazione di eventuali irregolarità da parte della CAI.

Solo un sistema siffatto, caratterizzato dalla presenza di pochi, ma importanti enti, permetterà di sviluppare economie di scala tali da innescare quel meccanismo virtuoso (più adozioni, ma meno dispendiose) capace di portare, un giorno, alla gratuità delle adozioni internazionali.

“Il sistema di regolamentazione degli Enti Autorizzati, oggi è di fatto bloccato dalla presenza di una stragrande maggioranza di enti di piccole dimensioni, insiste Griffini. “Questo rende di fatto impossibile stabilire dei criteri di rappresentanza politica, necessaria per poter essere interlocutori credibili delle istituzioni.”

Infine, una delle note più dolenti: la CAI, autorità di riferimento per operatori e famiglie adottive. Un ente che, così come concepito, non è sufficientemente efficace nello svolgimento del proprio ruolo, e che andrebbe innanzitutto snellito, sciolto da ogni vincolo di tipo politico e ricollocato sotto le competenze del Ministero degli Affari Esteri. Solo in questo modo, infatti, sarebbe in grado di riprendere, sviluppare e rafforzare le relazioni internazionali con gli altri paesi, anche in previsione di nuovi accordi bilaterali.