La notte, l’alba e il fuoco: momenti della vita della Chiesa e di ogni comunità

pesca miracolosaPer questa III Domenica di Pasqua, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai testi degli Atti degli Apostoli (At 5,27b-32.40b-41) e dell’Apocalisse (Ap 5,11-14) e dal brano del Vangelo di Giovanni (Gv 21,1-14) in cui si racconta l’episodio della “pesca miracolosa”.

 

 

In questa terza domenica di Pasqua abbiamo proclamato – nella forma breve – un affascinante brano del Vangelo di Giovanni che, in genere, gli esegeti considerano un’aggiunta successiva … ma ne valeva veramente la pena, di fare questa ’aggiunta’!

 

È un testo che si divide, nettamente, in tre parti: la notte, l’alba e il fuoco con il ‘mangiare insieme’.

Il primo tempo è quello della notte.

Siamo «sul mare di Tiberìade». I discepoli sono soltanto in sette. Il gruppo degli Undici, dunque, si è frantumato. Sono dispersi, i discepoli. La situazione è confusa, non chiara. Ci sono molte cose che non capiscono: hanno incontrato il Signore, che si è mostrato loro dopo la sua morte, hanno visto le sue ferite, impresse per sempre nel suo corpo di Risorto, hanno gioito della sua presenza, hanno ricevuto il dono dello Spirito, sono stati ‘mandati’ da Gesù … eppure, nonostante questo, sono come in una situazione di stallo, di incertezza, di oscurità.

Non per nulla è notte.

Forse sono capitati anche a noi momenti così, nella vita. Momenti difficili, quasi di ‘paralisi’, in cui non sappiamo bene come muoverci, che cosa fare.

Sono momenti di crisi, e capitano anche nella Chiesa o nelle nostre comunità.

 

In quel momento difficile Pietro cerca di spezzare l’inedia, l’accidia o la ‘pigrizia’ che blocca un po’ tutti gli altri. «Io vado a pescare»!

Prende l’iniziativa.

Forse è la tentazione di tornare all’antico mestiere, dopo gli anni trascorsi con Gesù; forse avevano proprio bisogno di mangiare; forse cercano di distrarsi con qualcosa che li ‘tiri su’ di morale, e allora fanno qualcosa tanto per fare …

 

«Veniamo anche noi con te». Gli dicono gli altri, in coro. Sembra un po’ liberatorio, questo modo di agire. Facendo qualcosa insieme, forse riescono a trovare la strada per continuare.

Ma, forse, tutto si riduce a un semplice ‘esperimento’. Vediamo se succede qualcosa. ‘Proviamo’ …

Quante volte anche a noi capita di agire così. Più che ‘azioni’ vere e proprie facciamo dei tentativi per uscire da situazioni difficili, ma senza convinzione.

Sono momenti davvero brutti!

 

«Ma quella notte non presero nulla». È una conclusione amarissima.

Non è solo una nota di cronaca. Capitano, possono capitare, notti in cui i pescatori non prendono nulla. Ma qui c’è qualcosa di più.

È come la conclusione simbolica di una fatica che termina nel nulla. Nulla, quella notte, non presero nulla. È come la constatazione visiva di un fallimento. Nonostante gli sforzi, la buona volontà, quei discepoli non concludono niente.

Sono soli. Le loro forze non bastano, non li portano da nessuna parte. Tanto impegno, tanta fatica, e nessun frutto.

 

Arriva così il secondo tempo di questo bellissimo racconto.

È l’alba, l’inizio di un nuovo giorno, le prime luci.

Un giorno che si annunciava difficile, dopo una notte così.

Ma ecco che, di lontano, probabilmente velato da una nebbiolina leggera e dalle prime luci ancora troppo deboli, questi uomini, che sono tutti sulla stessa barca, intravedono uno sconosciuto, «sulla riva».

Si saranno chiesti: “Chi è?”, “che cosa ci fa sulla riva, lì, da solo?”.

«Stette», dice Giovanni, quasi a sottolineare l’improvvisa ‘apparizione’ di questa figura sconosciuta e poi anche il suo rimanere «sulla riva».

Non è una fugace apparizione, non è una visione per poi andarsene subito.

 

Questo sconosciuto, a un certo punto, si rivolge proprio a loro.

Avrà dovuto urlare non poco. La barca distava un centinaio di metri dalla riva – è un ricordo molto vivo, biografico, quasi un’annotazione di un cronista! –. «Figlioli, non avete nulla da mangiare?».

È una parola discreta e perfino affettuosa. È una parola che rivela un interesse, un’attenzione, una premura, da parte di quello sconosciuto nei confronti di questi pescatori, di ritorno da una infruttuosa notte di fatica!

«No», gli rispondono. Non aggiungono altro. I discepoli in questo episodio parlano poco, pochissimo. Sono quasi laconici. Sembra che manchino loro perfino le parole.

 

Ma quella figura lontana, «sulla riva», riprende: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete».

Strana, stranissima richiesta, quasi un comando o un invito. Avrebbero potuto dire: “ma come, stiamo ritornando adesso dalla pesca e ci chiedi di gettare di nuovo la rete, adesso che è l’alba?! E poi, perché dalla parte destra?”.

Ci possono essere molte spiegazioni, ma forse questa parola possiamo rileggerla alla luce di un profeta, Ezechiele, che aveva visto sgorgare dalla parte destra del Tempio ricostruito un fiume di acque meravigliose, ristoratrici e feconde.

Ad ogni modo i discepoli obbediscono, gettano la rete, si ‘fidano’ di quello sconosciuto. E accade l’impossibile, accade qualcosa che non era prevedibile, qualcosa di sorprendente e di inimmaginabile: «non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci».

 

A questo punto si sussegue una gran quantità di eventi, uno dietro l’altro. È come se tutto si muovesse più velocemente, vorticosamente.

Il «discepolo che Gesù amava», uno dei sette, dice o forse sussurra all’orecchio di Pietro una bellissima parola: «È il Signore!». È un sussurro, un attimo, ma in questa parola c’è tutto. Il discepolo ‘amato’ è il primo a riconoscere, con assoluta certezza, chi è quello sconosciuto: «È il Signore!». È Gesù, è il Risorto!

 

Pietro aderisce immediatamente, da par suo, a quella intuizione, a quella ‘professione di fede’. Si rimette «la veste … ai fianchi, perché era svestito – vedete quanti particolari? – e si gettò in mare». Pietro non si trattiene. È come se avesse perso la testa. Passa, all’improvviso, dall’inedia e dalla delusione di una notte fallimentare, ad un gesto carico e pieno di slancio, di entusiasmo. Pietro è attratto da Gesù. Si getta in mare senza dir nulla.

Gli altri lo seguono, «con la barca, trascinando», a fatica, «la rete piena di pesci»

Questa barca che attraversa il mare, improvvisamente colma del frutto di una fede che va oltre la fatica sterile e infeconda, è un segno potente della testimonianza della Chiesa nel mondo.

Solo quando noi ci fidiamo della Parola, solo allora le nostre fatiche non sono più vane!

 

Poi c’è il terzo momento. A riva.

Lo sconosciuto, nel frattempo ha imbandito una mensa.

C’è un fuoco di brace, a lungo preparato, c’è già del pesce sopra. Da dove viene?

C’è del pane, particolare non insignificante.

Pane e pesce.

Il pane, tante volte moltiplicato da Gesù. Il pesce, che, nella prima chiesa, diventerà un segno di Gesù, perché la parola greca ‘pesce’ è un acronimo che significa: Gesù, Figlio di Dio, nostro salvatore.

Quello sconosciuto, però, vuole che i discepoli portino il pesce che, per suo dono, hanno appena pescato.

Gesù non ci sazia senza di noi, ma anche il frutto del nostro lavoro è sempre un dono suo!

Proprio come il pane e il vino nell’Eucarestia.

 

I discepoli trascinano con fatica i centocinquantatre grossi pesci – altro particolare, forse simbolico – e la rete non si spezza. Rimane unita e forte.

 

«Venite a mangiare». Ormai i discepoli riconoscono in quei gesti, in quelle parole, in quella presenza Gesù, ma rimangono in silenzio, stupefatti, quasi ammaliati, affascinati, da Gesù.

Nel silenzio profondo di quell’alba Lui ripete per loro i gesti dell’Ultima Cena.

Così, anche oggi, Gesù rimane tra noi. Solo Lui rende feconda la Sua Chiesa!