La riforma non guasti il cuore dell’adozione

La riforma di Ai.Bi. suscita dibattito. Ecco quanto ha scritto il 17 giugno Adriano Sansa, presidente del Tribunale dei minori di Genova, su Famiglia Cristiana.

Tra il novembre 2000 e il dicembre 2011 i minori stranieri entrati in Italia a scopo adottivo sono stati 36,117; rispetto al 2010 vi è stata, ultimamente, una lieve flessione del numero (peraltro inferiore a quella di altri Paesi di accoglienza), dovuta a diverse ragioni. Alcuni Paesi adeguandola loro legislazione alle Convenzioni internazionali e garantiscono meglio il diritto dei bambini e dei genitori, biologici e adottivi; altri progrediscono economicamente, riducono i casi di abbandono e accrescono il ricorso all’adozione nazionale; altri ancora nascondono il fenomeno per ragioni di “prestigio”. Sul fronte dei paesi di accoglienza pesa anche probabilmente la crisi, che non è solo di condizioni economiche ma di prospettive e, infine, la speranza nel futuro.

L’adozione dà una famiglia vera a un bambino rimasto privo dell’assistenza materiale e morale dei genitori e dei parenti; i nuovi genitori soddisfano questo bisogno vitale e insieme colmano una loro istanza affettiva, il più delle volte impedita dall’infertilità. Ma quel bambino giunge avendo molto sofferto: l’età media, che è intorno ai sei anni, parla da sola di una prima infanzia svuotata di accudimento, amore, adempimenti essenziali ai fini dello sviluppo affettivo, fisico, intellettivo. Sempre più gli adottanti si rendono conto dell’altezza dell’impegno; anche questa consapevolezza della realtà è alla base delle dichiarazioni di disponibilità. L’adozione non deve fallire, per un bambino già ferito sarebbe un danno insanabile.

Per questo sorprende che emergano, forse con buone ma superficiali intenzioni di “rapidità”, continue proposte di tagliare il ruolo dei servizi sociali e dei tribunali nella valutazione delle qualità delle coppie e nel loro sostegno lungo il percorso.

Le relazioni familiari sono cosa serissima. In seconda lettura, alla Camera si discute in questi giorni di cambiare la nozione di abbandono dei minori, senza forse valutare la preziosa e prudente opera di interpretazione della giurisprudenza. È questa la strada di fronte alle difficoltà del tempo?”.

La proposta riformatrice di Ai.Bi. chiede essenzialmente di passare da una cultura della selezione a una cultura dell’accompagnamento. Che cosa significa? Vuol dire che il cambiamento deve essere prima di tutto culturale: la coppia che si rende disponibile ad adottare deve essere vista come una preziosa risorsa di accoglienza e di crescita demografica. Questo è possibile con la creazione di un percorso adottivo congiunto tra Servizi sociali ed Enti autorizzati, un percorso capace di valorizzare le coppie e di seguirle durante tutto il corso dell’iter, comprese le fasi del post-adozione. Questa non è una proposta che chiede di rinunciare a qualcosa, bensì di aggiungere valore all’iter adottivo, nel rispetto del cuore dell’adozione che è per l’appunto una libera opzione di accoglienza.