La sofferenza delle comunità di accoglienza ai tempi del Coronavirus

Luciano Moia su Avvenire: “Dalle strutture non si esce ma neppure si può entrare”

Ci sono alcune ‘famiglie’ in cui la forzata vacanza di questi giorni innesca problemi più complessi e su più vasta scala rispetto alla maggior parte degli altri nuclei familiari”. Si tratta delle comunità di accoglienza. Ne scrive, su Avvenire, Luciano Moia, riportando una serie di interessanti e importanti considerazioni in merito a quanto si vive in questi giorni di emergenza sanitaria.

“Come gestire il tempo – scrive Moia – senza scatenare baruffe rischiose o innescare altri comportamenti a rischio quando ci sono dieci o più bambini che vivono insieme? E quando, soprattutto, la condizione abitativa non dipende da un capriccio di alcune mamme ignare delle disposizioni sanitarie ma dalla ‘normalità’ della vita quotidiana. Nelle strutture che ospitano bambini e ragazzi che non possono più vivere nelle proprie famiglie per decisione dei tribunali, l’emergenza coronavirus determina difficoltà di cui non si tiene abbastanza conto”.

“Dalle strutture – prosegue il giornalista – non si esce per andare a scuola, ma neppure si può entrare. Accesso permesso, com’è inevitabile, solo agli educatori che si prendono cura dei ragazzi e che quindi devono adottare una serie di cautele infinite per evitare di diffondere il contagio”.

Comunità di accoglienza e Coronavirus: le fatiche degli educatori

Delle difficoltà nelle comunità di accoglienza, provocate dalle restrizioni di questi ultimi giorni, racconta anche Valentina Bresciani, Responsabile pedagogico delle strutture di accoglienza di AIBC Cooperativa Sociale.

“Abbiamo enormi difficoltà – spiega – a far comprendere la difficoltà che questa situazione comporta. I nostri ospiti sono ormai stati messi ‘in sicurezza’ e non escono da ormai dieci giorni. La situazione, psicologicamente, è molto pesante, visto che comunque già parliamo di situazioni di fragilità. I papà non possono fare visita ai bambini, abbiamo sostituito gli incontri con delle videochiamate in Whatsapp, ma naturalmente non è la stessa cosa. Le uscite sono vietate”.

“Altro aspetto è quello che riguarda gli educatori – prosegue – Con la presenza dei volontari cancellata, sono sempre e soltanto loro a essere in prima linea, giorno e notte con turni massacranti. Senza scordare il fatto che queste figure sono costrette e mettere in secondo piano le loro paure, perché comunque tutti noi siamo esseri umani e di fronte a questo dramma reagiamo in maniera diversa”.

“Adesso stiamo cercando di reperire mascherine – aggiunge – ma naturalmente non è facile”.

Ecco, anche questo è un tema che, in questi giorni in cui molti lamentano la domiciliazione forzata, andrebbe considerato. Soprattutto ai più alti livelli istituzionali…