“L’affido non può essere a tempo indeterminato”

famiglia350L’affido deve essere uno strumento temporaneo e deve averequindi una nuova gestione, nell’interesse del bambino a ricostruire i legami familiari spezzati. L’affido sine die va superato, perché non permette al minore di essere inserito definitivamente in una famiglia, sia essa di origine o adottiva. Questi sono dei capisaldi in cui Ai.Bi. crede fermamente e che trovano conferma  nella ricerca realizzata dalla Fondazione Emanuela Zancan di Padova, che ha condotto uno studio sull’ istituto dell’ affidamento per la Provincia di Piacenza. Il report , presentato all’ Eusarf 2014 il 6 settembre a Copenaghen,  prende in esame i percorsi assistenziali di 136 bambini in affidamento nel periodo 2010-2012 e arriva alla conclusione che i reinserimenti dei minori nelle famiglie d’origine continuano ad essere complicati dati i tempi lunghi con cui avvengono gli affidamenti e lo scarso, o a volte inesistente, rapporto tra la famiglia affidataria e quella d’origine. Due elementi che, appunto, ostacolano un sereno ritorno a casa del bambino che molte volte rimane nella famiglia affidataria fino alla maggiore età. Altrettanto importanti sono le riflessioni che vengono sviluppate dagli operatori della Fondazione e che rendono giustizia ad alcuni “miti” sempre sostenuti da Amici dei Bambini.

Tra le valutazioni positive del contatto con la famiglia di origine, gli operatori mettono in risalto che “favorire il mantenimento del legame affettivo‐relazionale permette al minore di sentirsi parte integrante della propria famiglia d’origine – si legge nel report –nonostante l’affidamento familiare. Il minore, infatti, pensa di essere un rifiutato dalla propria famiglia e gli incontri guidati con i genitori vanno nella direzione di cambiare questa sensazione. La conoscenza delle proprie origini è, infatti, determinante per uno sviluppo di crescita”.

D’altro canto l’assenza di relazioni con la famiglia di origine ha portato effetti negativi per il minore, ecco perché gli operatori ritengono che il legame con i genitori naturali e gli altri parenti sia importante.

Ciò detto, per non arrivare alla sacralizzazione del rapporto del legame di sangue, quando non sia possibile il ritorno nella famiglia d’origine, i ricercatori della Fondazione elencano i motivi per cui il contatto con la famiglia di origine non porta beneficio al minore: “forti conflittualità fra i vari membri della famiglia d’origine; genitori abbandonici e anaffettivi; i pochi contatti telefonici con la madre provocano insicurezza in quanto la madre promette di tornare a casa ma non lo fa mai”.

Considerando gli affidi conclusi e in corso negli ultimi tre anni, risulta che quasi metà dei bambini è tornata a casa con i genitori naturali.

Per quanto riguarda il progetto di affido: una mamma su cinque ha piena fiducia nei servizi sociali, il 53% in parte. Scarsa è invece la fiducia verso le decisioni del Tribunale, nei casi in cui è intervenuto (il 49%  delle mamme e il 44% dei papà non si fidano per niente).

Gli operatori inoltre passano in rassegna i casi in cui il ragazzo ha trovato nella famiglia affidataria, di fatto, la famiglia di riferimento, con la quale ha creato un significativo legame affettivo, pur permanendo lo stesso impegnato nel ricercare la propria autonomia.

Di segno critico, invece, sono le annotazioni relative all’apporto dei servizi territoriali: il report sottolinea il fatto che le famiglie si aspettavano un sostegno più continuativo e pieno con un progetto maggiormente definito, con la conseguenza che molto è lasciato alle capacità personali dei singoli.

Le parole delle famiglie sono, in questo senso, molto chiare. Vorrebbero, infatti, un progetto definito inizialmente bene, con una maggiore autonomia all’interno della cornice dell’affido definita dai Servizi/tribunale o una maggiore collaborazione e informazione da parte dei servizi sociali.

Infine, molto significative sono le motivazioni che le famiglie affidatarie propongono come stimolo per altre famiglie a investire nell’accoglienza.In particolare è forte la convinzione che il bambino accolto può trovare nella famiglia affidataria fiducia in sé e nella propria famiglia e può arricchirsi e rafforzarsi; “l’affido contribuisce a rendere più sereno il bambino, ad affrontare e risolvere le problematiche della sua famiglia, attraverso un gesto di amore” e ancora “l’affido è un’esperienza che dà un senso alla propria vita, che fa crescere come coppia e come persona, che dà più di quanto chiede in termini di energie e fatica.. È un modo per rendersi utili agli altri e arricchirsi personalmente. È un’esperienza che ci ha fatto ricevere più di quello che abbiamo dato.  Un bimbo protetto sorride. È felice il suo sguardo ti fa capire quanto si sente sicuro”.