Mauro: “ho scelto di vivere a Kinshasa al fianco delle famiglie adottive”

Alla vigilia delle elezioni in Congo, Mauro Pitzalis, 29 anni, coordinatore presso la sede Ai.Bi. di Kinshasa, racconta la sua esperienza di volontario espatriato: una scelta personale e professionale coraggiosa e impegnativa.

Mauro, perché hai deciso di intraprendere quest’esperienza? Si tratta di un percorso molto diverso da quello intrapreso dalla maggior parte dei tuoi coetanei…

“A spingermi è stato l’amore per la scoperta, oltre alla voglia di essere utile agli altri. Ho sempre lavorato con i ragazzi e sono sempre stato particolarmente vicino al mondo dell’infanzia in difficoltà: il richiamo di Ai.Bi., che già conoscevo tramite un’amica, è stato irresistibile e con entusiasmo ho accettato la sfida di dare un futuro ai bambini meno fortunati del Congo, un Paese in cui le difficoltà sembrano non cessare mai. Povertà, corruzione e disordini politici rendono ancora più complicato dare sollievo e speranza alla popolazione più indifesa: quei bambini in difficoltà che Ai.Bi. sceglie di aiutare ogni giorno. Senza dubbio si tratta di una scelta che rifarei e che mi sentirei di consigliare perché “arricchisce” e regala a chi la vive la sensazione di fare qualcosa di davvero importante”.

Da quanto tempo vivi a Kinshasa e com’è stato l’impatto con la realtà congolese, per te che arrivi dall’Italia?

Sono arrivato a Kinshasa a marzo; la mia esperienza personale dal 2007 mi aveva portato più volte in Africa: è la mia seconda volta in Congo. Senz’altro, per me che sono originario di un piccolo paese di campagna, il “salto” è stato notevole: Kinshasa è una metropoli con circa 10 milioni di abitanti, qui ho trovato povertà estrema, problematiche sociali e, agitazioni per le imminenti elezioni politiche.

Quali difficoltà hai incontrato in una zona “a rischio” come il Congo?

In Congo, le difficoltà sono all’ordine del giorno: la realtà del paese impedisce di avere una vita privata “normale”. Alle carenze energetiche si sommano tutti i disagi dati dall’estrema povertà in cui versa la popolazione locale e i disordini in vista delle elezioni politiche che si terranno il 28 novembre. Uno straniero come me deve sempre stare all’erta: occorre osservare alcune precauzioni, dettate dal buonsenso, se non si vuole incappare in situazioni spiacevoli.

Gli imprevisti della vita quotidiana e le difficoltà operative, comunque, sono un ostacolo facilmente superabile se si ha ben presente la finalità di Ai.Bi., ossia dare un futuro a bambini che sembrano aver perso la speranza.

Qual è stato sinora il momento più emozionante, vissuto a Kinshasa?

Non uno, ma dieci, cento, mille momenti: ogni volta che accompagno una coppia di genitori a conoscere il loro figlio, non posso fare a meno di emozionarmi perché assisto alla nascita di una nuova famiglia. Non importa che questo sia accaduto già altre volte: ogni “nascita” è come se si verificasse per la prima volta. Anche ogni nuovo “arrivo” in sede, emoziona: umiliati, maltrattati, i bambini arrivano al centro e, come per miracolo, per noi volontari la fatica,la stanchezza, la sofferenza per la mancanza di una vita privata “normale” lasciano campo libero alla volontà di dare loro un’opportunità, la possibilità di trovare una famiglia che li ami. I racconti dei bimbi che giungono qui ogni giorno lasciano emergere condizioni di vita impensabili altrove. Mi riferisco in particolare alla stregoneria, di cui spesso piccoli innocenti sono accusati.

Qual è l’ “ingrediente segreto” per riuscire in un lavoro come il tuo?

“E’ indispensabile l’empatia: occorre capire bene la storia di ogni bambino. Solo così noi volontari possiamo capire come aiutarlo, come offrirgli la miglior vita possibile. Ai bambini, ci sforziamo di dare sicurezza, di far capire che li vogliamo proteggere: finchè non troveranno la “loro” famiglia, saremo noi ad essere per loro un padre, una madre, un fratello. Cerchiamo di essere una vera famiglia.

Poi, è anche importante saper mediare tra culture differenti, saper trovare un punto d’incontro tra abitudini e modi di vivere agli antipodi. Ma si tratta di difficoltà superabili perché, una volta arrivati qui, è come se… si rinascesse una seconda volta e vedere il mondo con occhi diversi:  si cresce come persona e si cambia, in meglio. Niente è più, né sarà più, come prima.”

Hai qualche rimpianto? C’è qualcosa che ti manca della vita “normale” in Italia?

“Darò una risposta “scontata”, ma è l’unica cosa che davvero mi manca: la mia famiglia.  Non c’è momento della mia giornata in cui non pensi ai miei familiari, in cui non mi chieda cosa stiano facendo, a cosa stiano pensando. La malinconia svanisce quando, razionalmente, torno a pensare che sto collaborando alla realizzazione di qualcosa di importante.”