Minori non accompagnati: 4 su 5 scappano dai centri di accoglienza

(Roma) La prima cosa che vogliono fare è lavorare. Ancor prima dell’ottenimento del permesso di soggiorno, ancor prima di avere garantiti i diritti fondamentali, dalla sanità all’istruzione, il pensiero dei minori stranieri non accompagnati giunti in Italia è quello di avere un lavoro che consenta loro di guadagnare e di rispondere così alla domanda che spesso ha contribuito a spingerli fin nel nostro paese: l’aspirazione ad un benessere economico e l’accesso agli stessi modelli di consumo dei coetanei italiani. Così la ricerca condotta da Terre des hommes e Parsec sui minori non accompagnati “Minori erranti. L’accoglienza e i percorsi di protezione”, che segnala come i progetti educativi proposti a questi minori dai comuni italiani prevedono, come ovvio, sempre dei percorsi formativi di scolarizzazione, di alfabetizzazione in lingua italiana e/o di apprendistato lavorativo: progetti tradizionali che non corrispondono in pieno alle esigenze dei nuovi venuti. E infatti non è un caso che quasi quattro su cinque scappino dalle strutture di prima accoglienza entro la prima settimana di permanenza.

I sistemi di prima accoglienza – fa notare lo studio – si caratterizzano da uno stretto rapporto tra la polizia e i servizi sociali locali: le forze dell’ordine intercettano i minori per poter dare loro aiuto e sostegno, i servizi intervengono per offrire loro interventi di protezione sociale, inserendo i minori in servizi sociali dedicati, generalmente predisposti in maniera specialistica alla prima accoglienza. Si tratta di prassi che nel nostro paese sono ormai piuttosto consolidate, ma grandi sono le disomogeneità dovute alla diversa capacità dei comuni di affrontare la problematica. Ad esempio, mentre al centro e al sud la tutela del minore per l’avvio delle pratiche relative alle tutela e al rilascio del permesso di soggiorno viene assegnata sempre ai servizi sociali, nel nord Italia si è ormai diffusa la figura del tutore, un soggetto terzo rispetto a chi eroga l’assistenza. Ancora: piuttosto variabile nel corso del tempo è stata la prassi adottata nei casi di conversione del permesso per minore età al compimento dei 18 anni: la norma della “Bossi-Fini”, per la quale tale permesso può essere rinnovato al compimento dei diciotto anni solo se vi sono stati affidamento e tre anni di permanenza in Italia con due anni di inserimento in un percorso di integrazione, è stata interpretata da alcuni considerando i requisiti come alternativi, da altri come cumulativi, fino a che una circolare del ministero dell’Interno non ha chiarito essere la prima l’interpretazione corretta.

Infine, anche per quanto riguarda i minori richiedenti asilo le prassi sono variabili: la procedura che porta alla nomina del tutore per la formalizzazione della richiesta di asilo e per il conseguente ottenimento del permesso di soggiorno può durare mesi, ad ovvio discapito della rapidità di esecuzione della procedura. E sempre riguardo alla Bossi-Fini e in particolare alla norma che introduceva nel 2003 la foto segnalazione, la ricerca precisa che questa misura “risponde esclusivamente ad un’esigenza di ordine pubblico e non ha, invece, alcun funzione nel processo di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati”.

(Fonte: Redattore Sociale)