“Non c’è cura per l’abbandono fuori dalla famiglia”. Pubblicato il Quaderno 58 del Centro Nazionale

famigliaI bambini hanno bisogno di crescere in famiglia. L’affermazione che suonerà lapalissiana ai frequentatori del nostro sito è tutt’altro che scontata in Italia. Tanto da diventare la raccomandazione principale inserita in una recente pubblicazione del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza. Il Quaderno 58 è il frutto di una ricerca condotta da Donata Bianchi, Enrico Moretti, Roberto Ricciotti e Rosa Rosnati su percorsi, tempi ed esiti dell’adozione nazionale.

I ricercatori hanno scattato una fotografia dell’adozione nazionale, seguendo nell’arco di 7 anni, dal 2006 al 2013, minori dei quali è stato accertato lo stato di abbandono. I dati si riferiscono a undici Tribunali per i Minorenni su 29 esistenti. Alcuni elementi emergono con chiarezza.

I bambini adottatati nel nostro Paese, che sono per la quasi totalità italiani ( il numero di minori provenienti da famiglie stranieri residenti in Italia è pari al 3% del totale) si dividono in due gruppi: quelli non riconosciuti alla nascita e quelli dichiarati adottabili a seguito di gravi problemi interni al nucleo familiare di origine. I primi trovano una nuova famiglia prima dei due anni d’età. Gli altri in media hanno quasi otto anni quando incontrano un nuovo papà e una nuova mamma.

Guai a sottovalutare l’impatto che ha anche nei piccolissimi “l’ambiente impersonale”, quale è necessariamente la comunità residenziale. Nella pubblicazione si legge testualmente: “È infatti ormai assodato che solo ed esclusivamente l’ambiente familiare sia in grado di garantire pienamente ciò di cui il piccolo ha bisogno per crescere.” E se i neonati non possono essere considerati come “lindi di storia e di legami” quasi fossero privi di un vissuto emotivo, i bambini più grandicelli dovrebbero avere la possibilità di crescere in una famiglia. Perché statistiche alla mano,  i minori con alle spalle esperienze di affido familiare sono maggiormente “competenti” nell’instaurare un legame con i genitori adottivi e di inserirsi positivamente nel contesto familiare e sociale.

Purtroppo i ricercatori evidenziano le tante lacune del sistema di accoglienza in Italia. Dove ancora oggi manca una banca dati nazionale che permetta di incrociare le schede dei minori adottabili con quelle degli aspiranti genitori, tanto che al momento della rilevazione ben 73 bambini adottabili di fatto non sono stai collocati in famiglia. Gli studiosi si chiedono: “Perché? Dove sono? Che caratteristiche hanno?”. E purtroppo la conclusione è che di loro si perdono le tracce in assenza di dati certi.

Altro dato. I più fortunati che una famiglia l’hanno trovata, hanno dovuto aspettare troppo in un limbo che spesso li condiziona a lungo.

Per i figli di genitori sconosciuti il tempo che intercorre tra la dichiarazione di adottabilità e l’inserimento in famiglia con l’affido preadottivo è di quasi 6 mesi,  mentre è di quasi 15 mesi per quelli più grandi, “un lasso di tempo comunque troppo ampio se parametrato ai rapidi tempi di crescita e di sviluppo di un bambino”, si legge nel documento.

In compenso la prassi italiana consolidata nei casi di adozione nazionale garantisce ai minori coinvolti più tutele di quelle che spesso vengono date ai minori adottati all’estero.

In nazionale, l’inserimento nella famiglia adottiva avviene in modo graduale e con un accompagnamento da parte degli operatori psicosociali molto puntuale. Si fanno più colloqui di preparazione del bambino, incontri con i futuri genitori, si raccolgono foto, oggetti, ricordi attraverso cui il bambino è aiutato nel tempo a ricostruire la propria storia, a dare un senso e ritrovare il filo rosso: certamente ciò facilita la transizione e l’inserimento in famiglia e nel nuovo contesto sociale. “Tale gradualità invece- rimarcano i ricercatori- non sempre è garantita ai minori che seguono la traiettoria dell’adozione internazionale: ancora oggi troppo spesso avvengono passaggi bruschi, fratture drastiche, che di fatto costituiscono un ulteriore trauma che va ad aggiungersi ai molti traumi già subìti da questi minori”.