“Occorre un ‘doppio binario’ per le adozioni internazionali bloccate dai Paesi di origine

adozioni bloccateAdozioni bloccate per anni e che tengono in un limbo angosciante i genitori adottivi e i bambini in attesa di essere accolti in casa. Coppie che hanno ottenuto il decreto d’idoneità e l’abbinamento ma che per motivi non dipendenti dalla loro “volontà” e diplomazia, non possono portare a termine l’iter adottivo.  Che succede allora con il decreto di idoneità? Perde intanto di efficacia? E soprattutto se si vuole avviare un secondo iter adottivo, bisogna rinunciare al primo?

Riflessioni e interrogativi che Michele Albano (da sei anni aspirante genitore adottivo) affida ad una lettera aperta inviata ai membri della Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, al senatore Aldo Di Biagio (Area Popolare) e  alle Associazioni di famiglie: CoordinamentoCare; Genitori si diventa, chiedendo di intervenire con una soluzione ragionevole.

Albano suggerisce che è sufficiente rendere noto e chiarire che il decreto di idoneità non perde la sua efficacia (nel caso in cui i coniugi, ottenuta la sentenza passata in giudicato dello Stato estero, non abbiano potuto portare a compimento la procedura adottiva per cause eccezionali a loro non imputabili) e soprattutto considerare il decreto di idoneità valido anche per l’avvio di una eventuale nuova procedura adottiva senza rinuncia alla prima.

Come precisa nella lettera l’aspirante papà adottivo “sia il Governo che la CAI sono stati più volte interpellati ed interessati su questo problema ma non hanno mai inteso occuparsene o anche solo fornire un parere”.

Riportiamo la versione integrale della lettera.

Agli On.li membri della Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza

All’On.le Senatore Aldo Di Biagio

Alle Associazioni di famiglie: CoordinamentoCare; Genitori si diventa

LETTERA APERTA SU ADOZIONI INTERNAZIONALI BLOCCATE E POSSIBILI INTERVENTI MIGLIORATIVI “A PORTATA DI MANO”

Gentilissimi,

sulla scia dell’intenso dibattito di questi giorni in materia di adozione ed approfittando della sensibilità da Voi dimostrata sul tema, mi permetto di suggerire di voler focalizzare l’attenzione anche sul tema delle moltissime procedure di adozione internazionale bloccate da anni e divenute un vero e proprio incubo che tiene prigioniere centinaia di aspiranti famiglie adottive (valga per tutti la scioccante esperienza di chi vi scrive e che aspira a divenire genitore adottivo da circa sei anni, dei quali ormai circa 30 mesi vittima – una tra le tante – dell’arcinota storia delle adozioni bloccate in Repubblica Democratica del Congo).

Bisogna sicuramente prendere atto che spesso la soluzione di simili vicende non dipende esclusivamente dalla nostra diplomazia, ma anche dalla volontà dell’interlocutore estero.

Ma proprio per questo sarebbe opportuno concentrare gli sforzi sugli aspetti che, invece, dipendono esclusivamente dal nostro sistema e sui quali, quindi, è sicuramente possibile intervenire per alleviare i percorsi delle famiglie che vivono queste infelici situazioni.

Devo aprire una parentesi tecnica per spiegare: l’articolo 30, comma 2^ della legge 04.05.1983, nr. 184 (“Diritto del minore ad una famiglia”) prevede, in materia di validità del decreto di idoneità all’adozione internazionale rilasciato dal Tribunale dei minori, solo che: “il decreto di idoneità ad adottare ha efficacia per tutta la durata della procedura che deve esser promossa dagli interessati entro un anno dalla comunicazione del provvedimento”.

La norma viene unanimemente interpretata nel senso che il decreto perde efficacia nel momento di ingresso in Italia del minore.

Da quel momento chiunque intenda procedere ad una nuova adozione, deve ripresentare la propria disponibilità al Tribunale dei Minori ed iniziare un nuovo iter fino all’eventuale ottenimento di un altro decreto di idoneità.

Cosa avviene, invece, nel caso di procedure non ancora concluse che si trovano in uno stadio successivo alla pronuncia della sentenza di adozione da parte dell’autorità estera cui, tuttavia, non  ha fatto effettivamente seguito l’ingresso del minore in Italia (a causa di un sopravvenuto blocco delle adozioni deciso dal Paese estero – v. fra i molti caso RDC)?

In queste ipotesi, purtroppo, si è soliti fornire questa risposta: i malcapitati genitori che, nell’incertezza in merito ad una eventuale soluzione positiva del caso, volessero tentare un’altra procedura di adozione internazionale utilizzando il decreto di idoneità già in loro possesso, dovrebbero richiedere la revoca della sentenza di adozione allo stato estero (in altri e più “brutali” termini significa rinunciare al bambino ormai abbinato alla coppia e, dal punto di vista del bambino, significa secondo abbandono).

Per evitare una simile assurdità, che amplifica ulteriormente lo strazio delle famiglie e che è oggettivamente di ostacolo ad uno snellimento e ad una crescita quantitativa del numero delle procedure adottive concluse, sarebbe sufficiente intervenire con dei meri atti di prassi interpretativa a mezzo dei quali si potrebbe fornire una soluzione RAGIONEVOLE(non vi sarebbe la necessità di modifiche normative, visto che la legge, all’evidenza, neppure disciplina espressamente questo aspetto).

Potrebbe essere una soluzione ragionevole, ad esempio, quella di chiarire che il decreto di idoneità non perde la sua efficacia nel caso in cui i coniugi, ottenuta la sentenza passata in giudicato dello Stato estero, non abbiano potuto portare a compimento la procedura adottiva con l’ingresso del minore in Italia per cause eccezionali a loro non imputabili.

In questi limitati ed eccezionali casi, il decreto di idoneità deve considerarsi valido anche per l’avvio di una eventuale nuova procedura adottiva e senza la necessità di una previa rinuncia da parte dei coniugi a portare a compimento, qualora eventuali eventi sopravvenuti dovessero renderlo possibile, la procedura adottiva sospesa o bloccata.

In questi casi, ovviamente, potrebbe anche avvenire che entrambe le procedure adottive eventualmente intraprese possano concludersi positivamente (laddove le coppie si sentano pronte ad accettare questa evenienza ed a non abbandonare nessuno dei due processi).

Il che sarebbe assolutamente in linea con la ratio ispiratrice di tutto il sistema che è quella dell’interesse supremo dei minori a vivere in una famiglia.

Purtroppo sia il Governo che la CAI sono stati più volte interpellati ed interessati su questo problema (si sperava che fosse anche loro interesse, oltre che loro dovere, giungere ad una soluzione di buon senso), ma non hanno mai inteso occuparsene o anche solo fornire un parere.

Non si comprende davvero perché si prediliga un atteggiamento che si contenta di restare “nel solco” di quanto si è sempre fatto in passato e cosa trattenga dal compiere una scelta che, invece, sarebbe opportuna sul piano del buon senso.

E’ evidente che quanto fatto in passato può essere oggettivamente migliorato ed una soluzione diversa è “alla portata” e non è vietata, ma semplicemente trascurata a causa di  una probabile pigrizia mentale o (grave) indifferenza.

Eppure potrebbe essere sufficiente una mera emanazione di atti chiarificatori (non legislativi ma semplicemente esplicativi, di prassi, procedurali) ispirati al buon senso per alleviare le sofferenze che spesso i percorsi adottivi riservano.

Nel campo delle adozioni ogni norma non può che essere interpretata utilizzando il buon senso visto che “ogni comma” della legge regola ed influisce in maniera determinante sulla vita di molte persone.

Quindi non possono essere tollerate, anche se apparentemente in linea con un “formale legalismo”, soluzioni infelici sul piano sostanziale.

La “sostanza” non può “restare fuori” dalle valutazioni di chi ha il potere di intervenire.

Ringraziando per l’attenzione che vorrete dedicare al tema e nella speranza di celeri riscontri operativi anche grazie alla Vs preziosa opera di sensibilizzazione sul tema ,

Saluto con osservanza

Michele Albano

(da sei anni aspirante genitore adottivo)