Padova, bimbo conteso «Il caso va riesaminato»

bambino PadovaÈ destinata a durare ancora a lungo la guerra – combattuta dentro e fuori le aule del tribunale – tra i genitori di Leonardo. Lo scorso ottobre è stato trasmesso da tutte le rete televisive il filmato che ritrae il ragazzino, dieci anni, mentre urla e si divincola steso a terra davanti alla scuola, trascinato dagli agenti che, per decisione del tribunale, vogliono allontanarlo dalla madre per affidarlo a papà. Anzi, a una casa famiglia dove sarà al riparo dall’influsso negativo che, secondo i giudici, la mamma esercita sul piccolo.

Una sofferenza inflitta inutilmente. La prima sezione civile della Cassazione, presieduta da Gabriella Luccioli – i cui pronunciamenti conquistano spesso l’onore delle cronache – ha accolto il ricorso presentato dalla donna e annullato il decreto emesso dalla Corte d’appello di Venezia nell’agosto scorso, ritenendo fondate le critiche sulla validità scientifica della Pas, la sindrome di alienazione parentale di cui secondo il padre, che di professione fa l’avvocato, soffre Leonardo.

Nel suo ricorso, la madre del bambino richiamava le «perplessità» del mondo accademico internazionale sulla sindrome da “alienazione parentale” che, invece, i giudici del merito – sulla base di una consulenza tecnica effettuata nel processo – ritennero centrale nel caso del piccolo Leonardo. Un bambino caratterizzato – così veniva descritto – da un «forte conflitto di fedeltà nei confronti della madre» e un «ingiustificato rifiuto di rapporti con il padre». La Corte d’appello di Venezia aveva dunque disposto con un decreto che il bambino venisse affidato al padre e inserito in una casa famiglia, con la programmazione di incontri con entrambi i genitori sulla base di un programma psicoterapeutico. La Cassazione, con una sentenza depositata ieri – ma l’udienza si è svolta il 6 marzo scorso – ha annullato il decreto dei giudici di Venezia, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia.

Le critiche esposte dalla difesa della mamma nel ricorso sulla Pas «non sono state esaminate nel provvedimento impugnato – rileva la Cassazione – così violandosi il principio secondo cui il giudice del merito non è tenuto a esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, potendo limitarsi a un mero richiamo di esse, soltanto nel caso in cui non siano mosse alla consulenza precise censure, alle quali, pertanto, è tenuto a rispondere per non incorrere nel vizio di motivazione».

Altro principio «disatteso e non meno importante» nel decreto della Corte d’appello di Venezia, riguarda – rileva ancora la suprema corte – «la necessità che il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti, verifichi il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale».

Si legge nella sentenza che «il rilievo secondo cui in materia psicologica, anche a causa della variabilità dei casi e della natura induttiva delle ipotesi diagnostiche», il processo di validazione delle teorie «può non risultare agevole, non deve indurre a una rassegnata rinuncia, potendosi ben ricorrere alla comparazione statistica dei casi clinici».

Di certo, conclude la Cassazione, «non può ritenersi che, soprattutto in ambito giudiziario, possano adottarsi soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie a esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare».

 

( Avvenire, 21 Marzo 2013)