Adozioni internazionali. Perché la Cai non costringe gli enti autorizzati a certificare i bilanci per bloccare i pagamenti in nero?

trasparenzaCon la nomina del ministro Boschi al vertice della Cai, il vento delle adozioni internazionali in Italia sarà finalmente cambiato? Dopo quasi 3 anni di assurda paralisi della nostra Autorità Centrale è quanto mai necessaria una svolta positiva. I problemi da affrontare sono tantissimi e ancora più gravosi dal momento che la Cai è chiamata recuperare quel clima di trasparenza, legalità e collaborazione che l’aveva sempre caratterizzata, prima della nefasta gestione dell’ex presidente Silvia Della Monica.

Cerchiamo di capire, quindi,  quali sono i problemi più urgenti che la nuova Cai dovrà affrontare per rilanciare un sistema in profonda crisi e per recuperare la propria credibilità. Uno dei più importanti è quello della scarsa trasparenza contabile e finanziaria che affligge il mondo delle adozioni internazionali. Una piaga che scoraggia le coppie dall’intraprendere questo percorso. Qual è la situazione e come fare a modificarla in positivo?

 

Partiamo da un paio di ovvietà, che, se ignorate anche per il prossimo futuro, continueranno ad avere effetti perniciosi sia sulle coppie adottive che sui minori adottabili.

La prima: non credo si abbia notizia di un Paese – nel quale le famiglie adottive possono recarsi e non sono quindi in corso guerre o altri disastri –  in cui non sia possibile effettuare pagamenti con mezzi tracciabili, se non per brevissimi periodi (giorni) e a causa di eventi disastrosi quali calamità naturali o rivolte armate. La seconda: se in un Paese un Ente Autorizzato chiede pagamenti in contanti, vuol dire che deve nascondere qualcosa a qualcuno. Come avviene in Italia quando si paga in contanti un servizio in modo che l’acquirente eviti l’IVA e il venditore le tasse.

Se infatti i pagamenti con mezzi tracciabili sono sempre possibili, perché un ente dovrebbe comunque richiedere pagamenti in contanti? L’unica risposta possibile è che non vuole fare conoscere alle autorità pubbliche locali questi movimenti di denaro. I motivi possono essere diversi, più o meno gravi, ma nessuno lecito: dall’evasione delle imposte in Italia o all’estero alla corruzione, fino, nei casi peggiori, al traffico di minori. Ancora, proprio perché i movimenti in contanti nascondono sempre qualcosa , in qualsiasi Paese del mondo i mezzi che garantiscono la tracciabilità sono preferiti per i trasferimenti valutari ai contanti e questi sono ammissibili solo per trasferimenti di importi limitati.

Se queste premesse sono valide – e sono così ovvie che lo darei per scontato -, la questione dei pagamenti in nero è senz’altro tra quelle che più la Cai deve contrastare, se davvero vuole svolgere quel ruolo di supporto e tutela delle famiglie adottive  e di controllo sull’operato degli enti, che la normativa le assegna.

La ben nota obiezione che viene portata su questo tema è che la CAI può fare poco se le famiglie non denunciano richieste di questo tipo. Ma le famiglie quasi mai segnalano fatti di tal genere. Sarà arrivata almeno una segnalazione in questi anni? E, se sì, che cosa avrà fatto la Cai? Sarebbe interessante che la nuova Commissione, una volta ristabilita la collegialità, lo andasse a verificare. Perché si tratta di richieste spesso con molte somiglianze a un vero e proprio ricatto.

Infatti, indipendentemente dal fatto che la necessità di utilizzare contanti venga più o meno annunciata all’inizio del percorso adottivo con un ente, le richieste vere e proprie si concretizzano quando la procedura adottiva è in uno stadio avanzato e sarebbe costoso e complicato cambiare ente. O, peggio, si può rischiare di perdere il figlio tanto atteso. E così arrivano prima lusinghe e poi minacce affinché la famiglia faccia quanto richiesto e taccia per sempre con amici, tribunali e servizi sociali, a meno che, appunto, non voglia mettere a repentaglio i propri figli.

Di fronte ai pagamenti in nero, la Cai può allora solo arrendersi o meglio, come cantava De Andrè, “costernarsi, indignarsi, impegnarsi e poi gettare la spugna con gran dignità”?. No. Se lo vuole, la Cai può anche riprendere, dopo questi anni di incomprensibile interruzione, un serio contrasto del fenomeno dei pagamenti in nero, consapevole sì che la battaglia sarà lunga, ma anche che sono possibili, soprattutto per iniziare a dare un segno chiaro della propria volontà, misure semplici, concrete e immediatamente applicabili. Di quelle che tanto piacciono al Governo Renzi.

Ad esempio, è possibile da subito richiedere a tutti gli enti la certificazione dei bilanci degli ultimi due anni da parte di un revisore indipendente. Anzi, meglio ancora, la Cai potrebbe affidare a una società di revisione, abbastanza prestigiosa da essere sicuri della sua totale indipendenza, l’incarico di sottoporre ad audit di bilancio gli ultimi due bilanci di tutti gli enti, dando nel contempo a tale società indicazioni su quali aree di bilancio verificare con particolare attenzione. Non credo sarebbe così difficile neppure fare rientrare questa attività tra quelle di responsabilità sociale normalmente realizzate dalle principali società di revisione, riducendo così a zero gli oneri per il bilancio pubblico.

Scommettiamo che il solo annuncio di una simile misura ridurrebbe fin da subito le richieste di pagamenti in nero alle coppie? Scommettiamo che, al termine degli audit, tra gli enti che hanno già ora il bilancio certificato da una primaria società di revisione non troveremmo “pagatori di contanti”?