Più affido contro i costi eccessivi delle comunità educative

Nei giorni scorsi abbiamo dato ampio spazio alla denuncia degli sprechi che colpiscono l’accoglienza dei minori abbandonati. La prima proposta che abbiamo pubblicato riguardava i dispendiosi passaggi dell’iter adottivo presso il Tribunale per i Minorenni, che obbliga le coppie a troppi e ripetitivi colloqui con le équipes psico-sociali.

La seconda segnalazione ha riguardatolo spreco di denaro pubblico relativo al caso di un ente regionale per le adozioni internazionali (l’ARAI piemontese,«un’esperienza a cui non ispirarsi» secondo i consiglieri regionali della Campania Sandra Lonardo e Ugo De Flaviis), istituito con finanziamenti pubblici mentre sul territorio erano già operativi ben 19 enti autorizzati.

Oggi segnaliamo un terzo spreco: quello che riguarda l’accoglienza di minori fuori famiglia nelle comunità educative. Secondo l’indagine dell’Istat, conclusa nel 2009 e pubblicata il febbraio scorso, il numero di bambini e adolescenti ospitati in Italia fuori dalla loro famiglia d’origine ha superato le 22mila unità: ne sono stati contati 22.584, contro i 16.414 del 2006. Si tratta di un 37,5% in più di under 18, un aumento dovuto al più grande numero di presidi sui quali è stata condotta l’ultima indagine, e dovuto altresì all’inclusione nelle statistiche dei centri socio-sanitari, oltre a quelli socio-assistenziali.

Il dato contiene un allarme che non è possibile ignorare: numeri così alti comportano il rischio della riapertura degli istituti. Il rischio è reso probabile dall’insostenibilità dei costi necessari a mantenere le comunità educative, e quindi dalla loro riconversione, di fatto o di diritto, in istituti. E tutto questo significa la vanificazione della legge 149 del 2001 che ha abolito gli orfanotrofi in Italia. Non solo l’orfanotrofio non è un luogo dove far crescere un bambino, ma nessuna comunità educativa potrà mai sostituirsi alle attenzioni di una famiglia vera. Per provvedere ai minori in questione nel migliore dei modi bisogna subito aprire loro la via dell’affido familiare, mettendolo nelle mani del privato sociale.

Infatti il minore in carico a una comunità educativa ha un costo giornaliero che grava sulle spese pubbliche per circa 80–100 euro al giorno. L’affido familiare invece gode di un contributo per famiglia che in media – secondo cifre variabili in base alle disponibilità economiche delle amministrazioni comunali e alle ore durante le quali il minore è in affido – è di circa 300–400 euro al mese. Ad esempio il Comune di Milano elargisce agli affidi extrafamiliari full-time un contributo ordinario per un massimale di 450 euro mensili. Ed è uno dei più elevati della Provincia milanese, dove i contributi sono mediamente intorno ai 200 euro. Il contributo del Comune di Roma, per gli affidi della stessa tipologia, arriva a un massimale di 500 euro.

300-400 euro mensili per l’affido, contro i 2500-3000 euro al mese delle comunità. Le cifre parlano chiaro: gli affidi familiari costano molto meno. Se l’affido venisse incentivato coinvolgendo il privato sociale e i 22mila minori fuori famiglia in Italia venissero indirizzati verso questa forma di tutela, anziché venire inviati in comunità, troverebbero accoglienza presso una famiglia vera, a fronte di enormi risparmi attestati intorno all’80-90%. Solo in questo modo potremmo archiviare per sempre il rischio di riapertura degli istituti.

Ecco come l’ennesimo spreco nel settore dell’accoglienza può essere risolto con un maggior coinvolgimento del privato.