Quando condividiamo con l’altro i nostri beni troviamo il ‘tesoro’

Nella XIX Domenica di Tempo Ordinario, la riflessione di Don Maurizio Chiodi prende spunto dalla Prima Lettura dal libro della Sapienza Sap 18,6-9, dalla Seconda Lettura Dalla lettera agli Ebrei Eb 11,1-2.8-19 e dal  Vangelo Dal Vangelo secondo Luca Lc 12,32-48

Siamo sempre all’interno del grande viaggio che Gesù sta compiendo verso Gerusalemme: è il suo cammino verso l’esodo pasquale. È in questo tempo che si rivolge alle folle e ai discepoli, affidando loro il suo insegnamento!

Anche noi, in questo tempo estivo, partecipando all’Eucarestia possiamo ‘godere’ delle sue parole e della sua istruzione.

È in questa cornice che si iscrive il Vangelo di questa domenica.

Mi pare che siano tre i passaggi fondamentali di questo testo di Luca.

Il primo è una parola che è insieme di consolazione e di forte richiamo: «Non temere, piccolo gregge …».

Gesù ha appena detto ai discepoli di non preoccuparsi del mangiare e del bere o del vestito. Ora, al termine di quelle parole, aggiunge un invito alla fiducia: non dobbiamo temere, dice con affetto a noi che siamo il suo «piccolo gregge», «perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno».

È per grazia che Dio sta in mezzo a noi come il nostro salvatore. Non è certo per i nostri meriti o perché siamo noi a conquistarlo.

Per questo Gesù ci dice di «non temere», non avere paura, né di Lui né di null’altro, né di nessun altro. Lui è con noi, è nostra custodia e nostra forza!

Insieme a questa parola di ‘consolazione’, c’è il forte richiamo a mettere il nostro ‘cuore’, cioè i nostri affetti, desideri, interessi, preoccupazioni, pensieri, intenzioni, là dove c’è il ‘tesoro’ vero.

Questo è implicito, nelle parole di Gesù, perché esse sono anche un invito all’esame di coscienza: “dov’è il tesoro della nostra vita? Dove stanno i nostri pensieri, preoccupazioni, desideri? Per che cosa ci impegniamo, che cosa ci sta veramente a cuore?”.

L’invito di Gesù è molto forte: «vendete ciò che possedete e datelo in elemosina». E poi: «fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma».

Queste parole richiamano il Vangelo della scorsa domenica, di quell’uomo ricco e stolto che accumulava solo per sé e non si arricchiva, invece, dinnanzi a Dio!

Qui, ora, Gesù dice con estrema chiarezza come noi possiamo arricchirci davanti a Dio: non dobbiamo accumulare, trattenere per noi stessi, perché questi ‘tesori’ non sono sicuri, sono insidiati dai ladri e consumati dal tempo …

Il ‘tesoro’ noi lo troviamo quando condividiamo con l’altro i nostri beni.

«Datelo in elemosina», non è una pia esortazione, o una parola facoltativa. È un comando! La parola ‘elemosina’, che noi abbiamo banalizzato facendola diventare i cinquanta centesimi che diamo allo sconosciuto, è ben altro.

È chiaro che dare a uno sconosciuto è molto rischioso, anzi, molto spesso non è una vera elemosina: non sappiamo se ne ha bisogno, non sappiamo che cosa ne farà, non sappiamo né vogliamo sapere nulla di lui. Invece, l’elemosina richiede una relazione e, certo, questa noi non la possiamo avere con tutti.

Elemosina significa, nella lingua greca, ‘avere pietà’, ‘avere misericordia’, avere cura’ dell’altro. Così, può essere elemosina dare cinque minuti di tempo in più, oppure fare un piccolo piacere, come fare la spesa a un anziano. Nessuno è così povero da non poter fare questi gesti di cura, di misericordia, di sollecitudine verso l’altro!

Se prenderemo un po’ del nostro tempo, se ci prenderemo un po’ cura dell’altro, vicino o lontano, allora sì troveremo ‘un tesoro sicuro nei cieli’.

È la carità ciò che rimane agli occhi di Dio. Su questo saremo giudicati e su questo è bene che noi stessi ci giudichiamo!

Il secondo passaggio di questo Vangelo è una piccola parabola, che Gesù racconta non solo per i discepoli, ma per tutti. Eppure noi la ascoltiamo, diversamente da molti altri che non conoscono questa Parola!

Il senso fondamentale di questa piccola parabola è detto dallo stesso Gesù: è l’invito a essere pronti, vigili, non appesantiti dal sonno o dalla stanchezza. È l’invito a essere vigilanti in ogni istante della nostra giornata, perfino di notte o all’alba.

Sono molte le immagini con cui Gesù illustra questa ‘prontezza’, quasi “a scattare”, questa vigilanza attenta e premurosa: gli abiti pronti per il viaggio e le luci accese.

Queste parole richiamano quelle della prima lettura, tratta dal libro della Sapienza.

In un’epoca molto vicina al Nuovo Testamento, l’autore di questo libro con toni molto forti e belli ci ricorda con grande forza «la notte [della liberazione]», la notte della Pasqua (ebraica), nella quale il popolo vegliava, in attesa della salvezza, in attesa del passaggio di Dio che li avrebbe liberati e condotti fuori dalla schiavitù dell’Egitto.

Quella notte fu annunciata ai padri «perché avessero coraggio». Fu una notte di speranza. Per questo si erano fatti trovare pronti.

Fu una notte di fede, come dice anche il testo molto bello della seconda lettura, dalla lettera agli Ebrei: «la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede».

È una parola molto istruttiva per noi: noi non vediamo ciò di cui ci fidiamo e ciò di cui ci fidiamo diventa ragione della nostra speranza. Non per questo la fede è una decisione ‘sciocca’, ingenua, credulona.

La fede in Dio si fonda su ‘segni’, o su ‘tracce’ della sua presenza, del suo nome. Queste tracce’, questi ‘segni’ sono ben visibili, ma per comprenderne il senso profondo occorre andare al di là della pretesa che siano delle ‘prove’ assolute.

Così fecero i grandi patriarchi: Abramo, Isacco, Giacobbe. Così fece anche Sara.

Ecco, così è per noi.

Nella parabola del Vangelo Gesù ci dice di attendere il suo ritorno, che sarà improvviso. È un’attesa forte, carica di affetto, come quella dei servi «che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze».

È un’attesa che non può sapere quando il Signore tornerà, perché Lui arriverà all’improvviso, «nell’ora che non immaginate», come il «ladro», senza preavvisarci.

Da qui il forte richiamo a essere sempre pronti!

E poi, c’è il terzo passaggio, che è rappresentato da un’altra parabola.

Gesù invita, in queste sue parole, tutti noi che siamo discepoli, a essere ‘amministratori fidati e prudenti’ dei beni che ci sono stati affidati. Questo significa attendere il suo ritorno.

Tutto ciò che noi abbiamo ci è stato affidato. Anche se lo abbiamo conquistato con fatica e sudore, alla fine – o meglio all’origine – è sempre un dono, un dono che ci è stato affidato, un dono che ci è chiesto di amministrare con saggezza, sempre alla ricerca delle buone intenzioni di chi ce lo ha affidato.

Ecco, questo è così facile dimenticarlo!

È così facile illudersi che le cose che abbiamo siano cose nostre, che nessuno potrà togliercele, mai. Ma non è così.

Questo non ci spinge certo a vivere nella paura di perdere ciò che possediamo. Al contrario, ci chiede di vivere nella fiducia («non temere, piccolo gregge») di chi ci ha affidato questi beni.

La tentazione, invece, di dimenticare tutto questo è molto forte. Allora diventiamo rapaci, egoisti, predatori, che accumulano, che vogliono tenere e trattenere tutto per sé, illudendosi di essere padroni e dimenticando di essere amministratori.

Le parole di Gesù qui sono molto dure contro chi pensa: «Il mio padrone tarda a venire» e allora comincia «a percuotere» gli altri suoi compagni, e poi «a mangiare, a bere e a ubriacarsi». Ricordate la parabola della scorsa domenica?

Anche qui Gesù mette fortemente in guardia dalla tentazione della cupidigia e della voracità. Chi cade in questo diventa insopportabile per gli altri. Li sfrutta, ne approfitta, vuole tutto per sé. Quando sentiamo alla televisione o sui giornali delle tangenti o della corruzione è proprio di questo che ascoltiamo: la tentazione di approfittare di tutto per impadronirsi delle cose, del denaro, così sottraendo all’altro i suoi beni, i suoi doni.

Noi dovremo rispondere di tutto quello che ci è stato donato, poco o molto che sia!

Abbiamo dunque fiducia in colui che è fonte di ogni dono.

Viviamo con fraternità gli uni verso gli altri!