Sentenza Cassazione, quando l’Italia non è un Paese accogliente

bambini-che-giocanoUna sentenza della Corte di Cassazione che fa discutere. Un immigrato irregolare deve essere espulso anche se ha figli che frequentano la scuola in Italia, perché l’esigenza di legalità delle frontiere è più importante di quella del diritto allo studio. La Suprema Corte ha stabilito, infatti, con la sentenza 5856 che solo i “gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore” consentono il protrarsi della presenza del genitore irregolare sul territorio italiano. E tra i gravi motivi non è compreso il fatto che i figli frequentino la scuola, perché si tratta di una “esigenza ordinaria collegata al normale processo educativo”.

Tutto è nato dalla vicenda di un immigrato albanese irregolare che vive in provincia di Varese con due figli minori, e la cui moglie – in attesa di cittadinanza italiana – aspetta un terzo figlio. L’uomo aveva chiesto di poter rimanere in Italia per l’esigenza educativa dei figli, che già frequentavano la scuola ed erano ben inseriti.

In pratica, secondo la Corte di Cassazione, il “generale interesse della tutela delle frontiere, che si esprime nelle esigenze di ordine pubblico che convalidano il decreto di espulsione”, non può cedere il passo in favore della tutela di “situazioni caratterizzate da essenziale normalità e tendenziale stabilità, in quanto collegate al normale processo formativo del minore”.

In sostanza il timore della Cassazione era quello di legittimare l’inserimento di famiglie di stranieri irregolari strumentalizzando i loro figli.

Il verdetto ha suscitato “grande e seria preoccupazione” nell’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, come nel mondo dell’associazionismo cattolico, nel centrosinistra, nel centro.

Si tratta di un caso che deve far riflettere sulla reale capacità di accoglienza del nostro Paese. La sentenza della Cassazione ha infatti messo in evidenza che la vicenda di una famiglia albanese, con figli già integrati a scuola, si riduce a materia di ordine pubblico, più che a una questione umanitaria.