Senza il mistero della Passione e Morte di Gesù, non capiremmo la portata sorprendente della Resurrezione

resurrezioneIn occasione della domenica di Pasqua, l’omelia del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dagli Atti degli Apostoli (At 10,34a.37-43), dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (Col 3,1-4) e dal brano del Vangelo di Giovanni (Gv 20,1-9) in cui si narra la scoperta del Sepolcro vuoto di Gesù.

 

C’è qualcosa di indicibile e di inafferrabile nella Pasqua di Gesù! C’è qualcosa di sconvolgente e di sorprendente nella Risurrezione del Signore, ma anche nella sua passione e morte, senza le quali non potremmo comprendere nulla della Risurrezione.

La Pasqua non è un evento ‘naturale’, anche bellissimo: non è come lo spettacolo mozzafiato di un’aurora boreale o di una splendida montagna innevata.

C’è qualcosa di sorprendente, nella Pasqua, come quando ci troviamo davanti, nel bene o nel male, ad un’opera compiuta da un uomo o una donna. Perché ci sconvolge tanto, nel male, un attentato terroristico e criminale, come quello compiuto proprio in questi giorni a Bruxelles?

Ci sconvolge perché ci domandiamo come sia possibile che una libertà umana possa concepire e volere qualcosa di così crudele ed efferato…

Ecco, davanti a una tragedia, opera dell’uomo, siamo presi dal terribile stupore dell’accadere del male.

La Pasqua è il ribaltamento e il rovescio di tutto ciò, è la sorprendente e dolcissima meraviglia dinanzi a qualcosa di bello e stupendo, che va al di là di ogni nostra immaginazione e che è realmente opera di Dio, nella travagliata storia dell’umanità.

Pietro, negli Atti degli Apostoli, nel suo discorso nella casa del centurione romano Cornelio dice, in modo semplice, che cos’è la Pasqua: «noi siamo testimoni – dice – di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno…». Ecco, questo è sconvolgente, perché va ‘contro’ lo scorrere ‘naturale’ delle cose: «ma Dio lo ha risuscitato».

 

È necessario andare al racconto del Vangelo di Giovanni per riscoprire la bellezza di questo evento meraviglioso.

La narrazione è molto sobria ed è quasi avvolta da un religioso pudore.

Non c’è nessuna descrizione della risurrezione, di come sia avvenuta. Non c’è nessun cedimento al fantastico e allo spettacolare. Tutto avviene nel silenzio. Le uniche parole di questo brano sono quelle di «Maria di Màgdala».

Oltre a lei ci sono altri due protagonisti: «Simon Pietro» e «l’altro discepolo, quello che Gesù amava», forse Giovanni.

 

Guardiamo e ascoltiamo con attenzione quello che succede in questo racconto.

Maria di Magdala, secondo il Vangelo di Giovanni, era una delle poche donne, insieme a Maria madre di Gesù, e insieme al «discepolo, quello che Gesù amava», che era rimasta presso la croce.

Ora, sempre nel racconto del Vangelo di Giovanni, essa «si recò al sepolcro» di buon mattino. L’evangelista sottolinea che «era ancora buio». Non dice perché andava al sepolcro, ma possiamo immaginare che Maria di Magdala volesse prendersi cura del corpo morto di Gesù. L’avevano lasciato nel sepolcro, il sabato. Ora, questo è «il primo giorno della settimana», quello che noi oggi chiamiamo ‘domenica’, che viene appunto dal latino ‘dominus’, che significa Signore.

La domenica è il giorno del Signore, il primo giorno – non l’ultimo, come noi diciamo quando parliamo di ‘fine settimana’ – della settimana, un giorno importantissimo per noi cristiani, perché nell’Eucarestia facciamo memoria proprio della Pasqua di Gesù!

 

Maria di Magdala non immaginava assolutamente nulla di quanto era accaduto. Stava andando a compiere un’opera di pietà nei confronti del morto. Avvicinandosi però, «vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro».

L’evangelista non si sofferma nel descrivere i sentimenti e i pensieri che si sono sicuramente scatenati in questa donna. Però il racconto descrive bene quello che fa. Maria di Magdala corre, si mette a correre, trafelata e punta diritta a Simone Pietro e all’altro «discepolo, quello che Gesù amava».

Questo improvviso cambio di registro ci lascia immaginare che cosa stava accadendo nell’animo di questa donna che amava Gesù.

 

L’evangelista ci riferisce le sue parole: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Sono parole che dicono stupore, incredulità, sconvolgimento, soprattutto.

È accaduto qualcosa di imprevedibile.

Il sepolcro è stato aperto da qualcuno.

C’era una grossa pietra, non facile da spostare. Era ancora buio e nessun dei discepoli era stato ancora a visitare la tomba.

Chi aveva spostato quella grossa pietra? E perché?

Nelle parole di Maria c’è forse anche l’angoscia di aver perduto così il corpo stesso di Gesù, l’ultimo segno della sua presenza tanto amata!

 

La reazione di Pietro e dell’altro discepolo è immediata: «correvano insieme tutti e due».  Questi due uomini, che avevano vissuto la passione di Gesù in modi tanto differenti, uno tradendo e rinnegando il Signore e l’altro rimanendo con coraggio ai piedi della croce, ora corrono, insieme, tutti e due.

Anche questa corsa è molto eloquente. I due non chiedono nulla a Maria. Si precipitano. Sono sconvolti. Che cosa è accaduto?

Giovanni dice che l’altro discepolo, probabilmente lui stesso, correndo più veloce di Pietro, «giunse per primo al sepolcro».

E poi riporta un ricordo, che sembra quasi una fotografia, un’istantanea: «Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò».

Non entra questo discepolo, nel sepolcro, per rispetto di Pietro, più anziano forse, e per il ruolo che Pietro aveva tra i discepoli. Questo discepolo, come Maria, rimane fuori dal sepolcro, anche se non si trattiene dal guardare dentro. E «vide i teli posati là posati là,

 

Nel frattempo arriva Pietro. Finalmente, Simone Pietro entra nel sepolcro. Possiamo immaginare di essere anche noi là, con Pietro: «osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte».

Dunque non c’è nessun segno di furto, nel sepolcro. Anzi, in quel luogo di morte sembra regnare un ordine, un nuovo ordine. Il corpo non c’è, i teli che coprivano il cadavere sono «posati», con cura, e il sudario, che copriva il volto, era «avvolto» con attenzione e delicatezza.

Pietro rimane silenzioso e immobile. Come ‘bloccato’ da quella vista. Solo allora, dopo di lui, «entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette».

Sono tre parole folgoranti, queste: «entrò …  e vide e credette».

 

È il discepolo che Gesù amava il primo a credere. Crede perché è stato amato e ha seguito Gesù rispondendo ad un amore che lo aveva conquistato.

Ma prima, da solo, non avrebbe mai potuto ‘comprendere’ quello che la stessa Scrittura diceva di Gesù, «che cioè egli doveva risorgere dai morti».

Crede, questo discepolo, perché vede. Ma il credere non coincide con il vedere. È molto di più!

Che cosa vede questo discepolo? Vede ‘solo’ un sepolcro vuoto. Non vede nemmeno una traccia, un’impronta. Vede che il corpo morto non c’è più. Vede che questo corpo manca.

Ma questa ‘assenza’ gli parla di una presenza. L’assenza gli rivela la presenza.

Allora ricorda e crede. Comprende che, nella Scrittura, Gesù «doveva risorgere dai morti».

Per questo noi oggi siamo qui.

Perché non abbiamo visto e altri ci hanno raccontato che Gesù – nostra speranza, luce e gioia – è davvero risorto dalla morte.