Abbiamo molto, ma siamo molto scontenti della vita perché viviamo come se Dio non ci fosse

Nella quinta domenica del Tempo Ordinario, il commento del teologo Don Maurizio Chiodi, prende spunto dalla Prima Lettura Dal libro del profeta Isaìa Is 6,1-2a.3-8, dalla Seconda Lettura Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 15,1-11 e dal Vangelo Dal Vangelo secondo Luca Lc 5,1-11.

Il Vangelo di oggi racconta un episodio bello, ricco, legato alla storia dell’apostolo Pietro, ma con un valore simbolico molto più grande, che si allarga e giunge fino a noi. In questo ‘passaggio’ della vita di Gesù, troviamo alcuni tratti che ci aiutano a comprendere sempre meglio la nostra condizione di discepoli di Gesù in questo nostro mondo.

Siamo sulle rive del lago di Gennesaret e «la folla», dice il Vangelo di Luca, «faceva ressa attorno» a Gesù «per ascoltare la parola di Dio».

Questa folla, che è assetata della Parola, è un primo tratto molto significativo. La presenza di Gesù, la sua Parola, risvegliava la ricerca, l’interesse, il gusto della Parola. Questo ci porta a chiederci quanto noi predicatori, oggi, siamo capaci di risvegliare nella «folla» questo desiderio, questa ricerca, questo interesse.

Certo, questo non dipende solo da noi. Diciamo che questo nostro mondo, da noi, non fa certo ressa per ascoltare la Parola di Dio.

Noi oggi sembriamo sazi, o anche solo affamati di altro: di ben-essere, di sicurezza, di una vita comoda e così via. Abbiamo molto, ma siamo molto scontenti della vita. Ci lamentiamo sempre, a volte con qualche ragione, altre volte proprio no!

Insomma, vorrei dire che la nostra ricerca, anche di molti cristiani, sembra rivolgersi ad altro, rispetto alla Parola di Dio. Tendiamo a vivere come se Dio non ci fosse oppure ricorriamo a Lui solo in casi di emergenza o eccezionali.

La domanda di fondo è: come vive, la folla, oggi il rapporto con Dio? E come ci mettiamo noi, cristiani, in questo mondo? Gli facciamo la guerra? Ci adeguiamo? Ci disinteressiamo, come se non fosse affare nostro?

Mentre Gesù parla, ad un certo punto, all’improvviso vede «due barche accostate alla sponda». Lì vicino c’erano i pescatori padroni di quelle due barche:«erano scesi e lavavano le reti». Erano lì, ‘per caso’, diciamo, non certo per ascoltare Gesù.

La folla sì, quella era lì per ascoltare la Parola di Dio e, invece, quei pescatori no, erano lì per altro. Stavano terminando il loro lavoro notturno. Stavano pulendo le reti.

Certo, questi pescatori conoscevano già Gesù. Poco prima l’evangelista Luca aveva raccontato che Simone aveva già ospitato Gesù nella sua casa e, in quella occasione, aveva guarito la mamma di sua moglie, la suocera. Quindi non meraviglia più di tanto che Gesù, con spontaneità, salga su una di quelle barche e scelga proprio quella di Simone.

Per poter meglio parlare a tutta quella folla, Gesù prega Simone «di scostarsi un poco da terra».

Forse Simone sarà stato ‘orgoglioso ‘ e felice di quella scelta di Gesù.

In mezzo a tanti, Gesù sceglie proprio la sua barca. Gesù mostra un’attrazione ‘speciale’ per Lui. Per Simone questo era probabilmente un grande privilegio: “questo rabbi importante mi onora della sua attenzione!”. Ad un certo punto, però, succede qualcosa di strano.

Gesù, «quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”». È sempre Gesù che prende l’iniziativa. Prima sceglie proprio la barca di Pietro. Ora arriva con questo ‘ordine’ perentorio, e anche molto strano.

Non è un caso che Simone gli risponda, con la sua consueta vivacità e franchezza: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». 

Dietro a queste parole c’è, insieme, la delusione e anche lo sconcerto. Delusione perché, lungo tutta la notte, quella volta i discepoli non avevano preso nulla. Era stata una notte particolarmente faticosa. Tanto lavoro, per nulla.

 

In effetti il lavoro diventa ancor più faticoso quando è sterile, improduttivo. È duro lavorare quando non si vede alcun frutto del proprio impegno.

Quella di Simone e dei suoi compagni, quella notte, è un’esperienza che abbiamo fatto sicuramente anche noi molte volte. Spesso, molto spesso, ci capita di fare la dura esperienza della fatica: lavoriamo, ci impegniamo, ci diamo da fare, ce la mettiamo tutta e non arriva ‘nulla’!

Succede, a volte, nel lavoro, ma anche nelle amicizie, nelle relazioni familiari, in campo educativo. Pensate, voi genitori, quante volte vi sembra di ‘parlare a vuoto’, per i vostri figli, vi sembra di non ottenere nulla, anzi di ottenere esattamente il contrario di quanto avete dato.

Sono esperienze di fallimento che ci mettono a dura prova. Ci fanno sorgere la domanda: “a che cosa serve tanta fatica, tanto sforzo, se poi non ne viene nulla?”.

Ecco, Pietro, quella mattina aveva in animo proprio questo sentimento di delusione e di fatica.

A questo, forse, possiamo aggiungere anche un altro sentimento, anche se qui il testo non lo esprime, ma ce lo lascia immaginare.

Forse Pietro ha pensato, con una certa stizza e rabbia: “ecco, questo Gesù adesso mi rovina tutto! Lui non ha mai fatto il pescatore, è un falegname! E adesso viene qui a insegnare a me, che ho fatto il pescatore da sempre, che cosa devo fare io!”. Oggi diremmo: Gesù non aveva le ‘competenze’.

Per questo, forse, Simone avrà anche pensato: “che cosa dirà di me tutta questa gente, quando  mi vedrà uscire a pescare in pieno giorno, dopo che mi ha visto rientrare senza un pesce?”

Mentre prima si era sentito ‘orgoglioso’ del privilegio per cui Gesù aveva scelto proprio la sua barca, forse ora si sentiva esposta al ridicolo davanti a quella stessa gente!

Insomma il rapporto con Gesù si stava facendo complicato e difficile!

Però Simone, con una decisione molto forte, aggiunge: «ma sulla tua parola getterò le reti»“. Questa è una Parola che nasconde un significato profondo.

In realtà, dietro a questa parola, si rivela (quasi) una professione di fede. Questa parola è sicuramente un gesto di grande fiducia. “Mi fido di te. Anche se l’evidenza mi dice che no, quello che mi chiedi non va bene, secondo la mia esperienza e i miei calcoli – perché non si pesca di giorno, perché tu non sai nulla di pesci, perché … perché … perché … – ecco, io mi fido di te, getterò le reti, «sulla tua parola»”.

È bello questo «sulla tua parola».  È quasi una preghiera: “io rischio, perché me lo dici tu”.

Questa è la fede.

Notate, però, che questa fede non è per Pietro un rischio assurdo.

Pietro sa già, per esperienza, che Gesù non è come tutti. Ha delle ‘ragioni’ per ‘credere’. E tuttavia, la sua scelta avrebbe molte ‘contro-indicazioni’.

Insomma, si fida, decide di «gettare» la sua libertà sulla Parola di Gesù.

Per questa fede accade qualcosa di straordinario.

Dal nulla della notte, in cui Simone aveva sprecato la sua fatica, dal fallimento, al moltissimo di «una quantità enorme di pesci», al punto che «le loro reti quasi» si rompono e devono chiamare anche i «compagni dell’altra barca»» e tutte e due le barche rischiano di affondare.

A quel punto Simone fa un passo ulteriore. Si getta alle ginocchia di Gesù, con venerazione: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». 

Questa parola di Pietro ricorda da vicino l’esperienza profetica di Isaia, che dinanzi alla gloria divina, che riempie il tempio, si sente «un uomo dalle labbra impure». Sente la distanza, la differenza di Dio e tutta la sua indegnità. Non è degno di stare alla sua presenza.

Così è per Pietro. Egli confessa la propria piccolezza.

Ancor più, confessa il suo peccato, la debolezza della sua fede, l’incertezza e l’incostanza del suo impegno e del suo amore.

Gesù gli risponde rilanciando, di nuovo.

Non lo umilia. Non sottolinea le sue debolezze. Lo invita a ripartire, sulla fede: «Non temere».

E gli promette che trasformerà la sua vita, rendendolo da pescatore a pescatore di uomini: non per intrappolare gli altri, ma per gettare loro la rete della Parola che salva!

don Maurizio Chiodi