Silvia: Londra, New York, Haiti, Kinshasa, Accra….una valigia per i bambini abbandonati!

Dal Ghana, Silvia Andena, ventinovenne milanese, ci racconta la sua esperienza di volontaria espatriata.

Da Milano ad Accra: un passo non breve, né facile. Non certo casuale, immaginiamo.

Dopo aver compiuto gli studi in Comunicazione e aver mosso i primi passi in un ufficio stampa, mi sono resa conto… di volere cambiare strada. Lavoravo da Sergio Rossi, brand leader nelle scarpe di lusso: senz’altro un’invidiabile opportunità per molte mie coetanee, ma non per me. La sera tornavo a casa e mi sentivo come “svuotata”, inutile: ero stanca senza avere la consapevolezza di aver combinato qualcosa di buono. Mi sembrava di sprecare la mia vita. Finchè ho realizzato che un “hobby” poteva diventare il mio lavoro.

Spiegaci meglio!

Ho sempre fatto volontariato e mi è sempre piaciuto sentirmi utile soprattutto per i più piccoli. Così, abbandonato il mondo della Moda, sono partita per un Master in relazioni internazionali a Londra, al quale è seguito uno stage in una ONG inglese: un’esperienza stimolante e utilissima perché mi ha permesso di perfezionare il mio inglese! Al rientro, sono stata fortunata: ho risposto a un annuncio e sono entrata in Ai.Bi.  Ho gettato il cuore oltre l’ostacolo, ma sono stata premiata con una collaborazione che, dal marzo 2008, sta proseguendo con progetti sempre nuovi e di rilevanza internazionale.

Qualche esempio: di cosa ti sei occupata dall’inizio?

Dell’apertura dell’ufficio Ai.Bi.  a New York: una start up che sta dando i suoi frutti. Sono rimasta a New York fino a pochi mesi fa: città fantastica ma…avevo davvero voglia di andare “sul campo”. A New York ha avuto grandissima eco la tragedia di Haiti: incuriosita, avevo fatto del volontariato là in estate e vedere tanti bimbi abbandonati, soli, impauriti, mi ha scosso e mi ha avvicinata alle tante persone speciali che ogni giorno provano ad alleviare le sofferenze di una popolazione in ginocchio. Era giunto insomma il momento di lasciare la Grande Mela: Ai.Bi., con tempismo perfetto, mi ha proposto un progetto in Congo.

Allora, hai preparato la valigia alla volta del Congo.

Esatto! A giugno sono arrivata in Congo, dove l’ufficio Ai.Bi. è ben avviato. Ma la realtà congolese è dura: Kinshasa è una città pericolosa e la percezione del rischio, almeno all’inizio, è altissima. Si ha la sensazione che manchi tutto: si fatica a recuperare prodotti di prima, se non primissima, necessità e ho sofferto molto nel non poter passeggiare liberamente. Dopo un po’ però mi sono abituata a uscire, semplicemente osservando alcune precauzioni, e ho apprezzato le qualità di un popolo che sembra incapace di perdere il sorriso, nonostante tutte le difficoltà! Lo staff è composto da gente davvero adorabile: impossibile non affezionarsi. Sono rimasta in Congo fino a 2 settimane fa, quando sono arrivata qui, in Ghana.

Hai trovato molte differenze tra la situazione in Congo e la realtà del Ghana?

C’è un abisso, direi. In Congo lo stato non è mai “presente”: al di là della corruzione (che, a vari livelli, esiste dappertutto), in Congo manca proprio il supporto di un Paese. In Ghana, invece, non ci sono risorse esagerate, ma senz’altro la presenza dello Stato è sempre tangibile.

Non sono paragonabili neanche le città: il Congo è purtroppo martoriato dalle guerriglie, dalle continue tensioni, dalla paura. C’è disperazione palpabile: si vive come sospesi in una calma apparente. Tutt’altro clima ad Accra, una città più sicura e sviluppata, dove gli abitanti sono più rilassati e meno portati alla delinquenza. Tant’è che lavoro da casa, giro spesso da sola o insieme al mio prezioso collaboratore ghanese Gibeon: in tutta sicurezza.  Sarei rimasta comunque anche in Congo, ma in Ghana Ai.Bi. è appena stato accreditato come ente per l’adozione internazionale e ha appena aperto l’ufficio: serviva qualcuno che raccogliesse informazioni, imparasse a conoscere gli istituti e ho accettato l’incarico con successo.

Come ti sembra la situazione delle adozioni internazionali in Ghana?

Come accennavo, lo Stato c’è: abbiamo un interlocutore e stiamo avviando una collaborazione proficua.  Molti orfanotrofi non hanno supporto e stiamo cercando di supportare la reintegrazione familiare. Non dimentichiamo che stiamo parlando di Paesi dove spesso si abbandona per povertà e si preferisce lasciare il proprio bambino in luoghi dove si ha la certezza che il piccolo venga nutrito e curato. Spesso la famiglia continua a “gravitare” attorno al centro, non scompare insomma: quando possibile, il bambino torna in famiglia. In Ghana i Paesi destinatari delle adozioni internazionali sono essenzialmente gli Stati Uniti che ne ricevono un centinaio all’anno, e poi ci sono Svezia, Olanda e Francia che ricevono un paio di minori all’anno. I Paesi coinvolti sono questi perché il Ghana è stato una colonia inglese e, negli anni, sono arrivati gruppi religiosi di matrice cristiana protestante, portando fondi e una sorta di evangelizzazione: da questo, consegue un aiuto agli USA molto forte. Attualmente, il Paese è molto attivo nella protezione degli orfani: il Department of Special Welfare del Ghana, con il supporto di Unicef e altre ONG, sta lavorando al National Plano of Action for Orphans and Vulnerable Children. Si tratta di un piano moderno, che prevede di ricollocare i bambini togliendoli dagli istituti. Stanno cercando di metterlo in atto, pur se con qualche difficoltà. In Congo, un’attvità come questa sarebbe inimmaginabile. Questo piano è frutto di interesse e impegno: non sarebbe pensabile in luoghi che vivono nell’emergenza.

Il Governo sta lavorando per ratificare la Convenzione de L’Aja: in particolare, sta lavorando al piano di implementazione che verosimilmente sarà pronto nel 2012. Noi di Ai.Bi. stiamo iniziando a farci conoscere dal Dipartimento del Welfare, attraverso il quale è possibile fare adozioni secondo procedure standard. Insomma, ci sono i presupposti per dare una famiglia a tanti bimbi di questo Paese: siamo solo all’inizio.