Torino. Il tribunale dei minori: “Ha un tumore al seno, non può adottare: devono passare almeno 5 anni”. L’oncologa: “Il cancro si cura. Anche le sentenze devono tenerne conto”

tumoreAvere a che fare con una malattia “importante”  può cambiare le priorità della tua vita: può affossarti e farti precipitare in un vortice di sconforto o al contrario farti apprezzare ancor di più i valori della famiglia, dell’amore e dell’accoglienza della vita senza rinunciare ai tuoi sogni.

E così, più è “determinata” la malattia contro cui combatti, più sei determinato/a tu a non dargliela vinta. Questo è quanto sta facendo Bianca, un’impiegata di Torino, 42 anni, a cui il Tribunale dei minori ha negato l’adozione perché ha un tumore al seno, perché “non ritiene tale condizione compatibile con l’accoglienza di un bambino”. Parola di giudice.

Eppure la donna, insieme con il marito, aveva superato tutto l’iter che la procedura di adozione prevede per una coppia: dai colloqui fino alle visite nella casa che avrebbe dovuto ospitare il bambino. Ma a bloccare il sogno dell’impiegata è arrivata una ricaduta del cancro al seno.  Il tumore dopo quattro anni di silenzio è tornato, infatti, all’attacco e la consuetudine in giurisprudenza chiede che passino almeno cinque anni di remissione. Ma la donna non ci sta: Quante madri malate di cancro accudiscono i loro figli?”.

In più la sentenza del Tribunale non tiene conto della relazione dell’Asl che giudica l’impiegata “fisicamente idonea in quanto la patologia stabile consente le funzioni educative verso la prole“. Ma il riacutizzarsi della malattia ha forse convinto il collegio dei giudici a bocciare la richiesta anche se la coppia aveva superato tutti gli altri esami. Così la donna che, proprio per combattere la malattia, comparsa per la prima volta a 29 anni, aveva perso la fertilità, ora si vede negato una seconda volta il sogno di diventare mamma.

Oltre alle beghe con l’Inps, che lo scorso anno ha cambiato una norma sulla relazione medica: togliendole i tre giorni di permesso per motivi di salute perché la malattia si era stabilizzata.  Una situazione assurda.  Troppo malata per i giudici che negano l’adozione, troppo poco per l’Inps che le nega i giorni di permesso. “Si mettessero d’accordo !”, esclama giustamente la donna sospesa nel limbo della giurisprudenza e della burocrazia.

Una decisione dunque che non trova consensi.

Ma cinque anni da cosa? Dalla prima diagnosi? Dal primo esame strumentale che accerta l’assenza di patologia?” incalza Elisabetta Iannelli, vicepresidente dell’Aimac, associazione italiana malati di cancro, che punta il dito contro la mancanza di una legge.

Infine, per Silvia Novello, docente di Oncologia medica all’Università di Torino e membro del direttivo nazionale Aiom,: “Ci vuole un atteggiamento univoco da parte delle istituzioni giuridiche e sanitarie. Il tumore non è un bollo sulla patente“. E i diritti del minore? “Vanno assolutamente tutelati, ma anche una famiglia con una malattia può essere sana e accogliente

 

Fonte: La Stampa, La Repubblica