Trento: chiudere le comunità educative entro il 31 dicembre 2017. Lo prevede un nuovo disegno di legge provinciale

trento_trento350Sarà Trento il primo capoluogo ad applicare in maniera corretta la legge 149/2001 e porsi veramente dalla parte dei più di 15mila minori fuori famiglia ospitati nelle comunità educative italiane?

Se tutto andrà per il verso giusto, pare proprio di sì. Infatti, negli ultimi giorni del mese di giugno, il consigliere comunale Gabriella Maffioletti, ha illustrato il disegno di legge “Disposizioni in materia di affidamento di minori: modificazioni dell’articolo 34 della legge provinciale sulle politiche sociali” presso la quarta commissione del consiglio provinciale di Trento. Un testo presentato dal consigliere provinciale Giacomo Bezzi, cui la dottoressa Maffioletti ha contribuito in modo significativo. Si tratta delle modifiche alla legge n.13 del 27 luglio 2007; l’articolo 34 è quello che disciplina l’affido temporaneo dei minori fuori famiglia.

C’è la ferma volontà di superare le comunità educative entro il 31 dicembre 2017 per cambiare passo nelle politiche sociali a favore dei minori fuori famiglia, 30mila il numero complessivo in Italia, dei quali più di 15mila ospitati in comunità educative, gli altri accolti da famiglie affidatarie: “E’ necessario passare dalla cultura della tutela, – afferma Gabriella Maffioletticoncepita come sottrazione e istituzionalizzazione del minore a quella dell’accoglienza. E da portare a termine quanto prima anche alla luce del fatto che il Trentino Alto Adige, secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è seconda solo alla Liguria per numero di minori sottratti alle famiglie di origine”. E’ questo il primo obiettivo del ddl, ambizioso e quanto mai ragionevole, dal momento che il superamento delle comunità educativa avrebbe dovuto trovare applicazione, secondo la legge 149/2001, entro il 31 dicembre 2006.

Un superamento cui seguirà, in base al nuovo comma 2 ter, l’attivazione di vere e proprie comunità di tipo familiare con queste caratteristiche:

– la presenza di figure parentali (materna e paterna) che le eleggono a loro famiglia, facendone la propria casa a tutti gli effetti;

– un numero ridotto di persone accolte, al massimo sei minori, per garantire che i rapporti interpersonali siano quelli di una famiglia;

– una casa con caratteristiche architettoniche di una comune abitazione familiare, compatibilmente con le norme, eventualmente, stabilite dalle autorità sanitarie;

– una casa radicata nel territorio, che permette di usufruire dei servizi locali e partecipare alla vita sociale della zona.

Con il DdL si vuole anche favorire la promozione di un progetto formale di recupero e rafforzamento della famiglia di origine. Questo perché “si è osservato – prosegue il consigliere Maffioletti – attraverso studi documentali che non viene mai posto in essere dal servizio sociale di dipartimento alcun progetto se non dopo diversi anni dal momento in cui gli utenti sono sotto la loro cura. E tutto ciò con grave nocumento di quelli che sono i diritti di cittadini alla salvaguardia della famiglia. Il progetto partecipato dai servizi sociali, previsto dalla legge 328/2000 generalmente non viene mai redatto”.

Terzo punto chiave del ddl, conclude Maffioletti, sempre nell’ottica della valorizzazione delle risorse familiari “è favorire l’affidamento intrafamiliare, andando a ricercare tutte le risorse interne alla famiglia già presenti piuttosto che l’istituzionalizzazione.”