Una speranza per i minori fuori famiglia

garanteUna sentenza che farà scuola. E’ quella della Corte di Appello di Roma n. 2328/2009, pubblicata lo scorso 3 giugno 2009, in cui è stato rispettato e correttamente applicato il principio del superiore interesse del minore. La sentenza si riferisce a un caso di affidamento durato “solo” due anni e seguito dall’immediata apertura della procedura per l’accertamento dello stato di abbandono e la sospensione della potestà dei genitori.

Finalmente, con il lavoro congiunto di Giudici, Servizi Sociali e Pubblico Ministero, l’adottabilità di un minore abbandonato dai propri genitori è stata pronunciata nei sei mesi successivi all’apertura del procedimento e, quindi, appena due anni e mezzo dopo il primo decreto con cui era stato disposto l’affidamento del bambino a carico del Comune.

Si tratta di una sentenza che ha confermato la decisione del Tribunale di Roma con cui, sulla base delle valutazioni dei servizi sociali, era stata disposta l’adottabilità del minore in soli tre mesi dalla mancata collaborazione dei genitori al programma di recupero; tre mesi dal momento in cui la madre si era dichiarata “disponibile al cambiamento” senza avere tuttavia seguito il programma dei servizi sociali per il superamento delle difficoltà del caso.

Nella sentenza si legge: “…le carenze genitoriali ascritte ai genitori […] e la complessiva precarietà del loro contesto di vita, indicate quale causa di abbandono del minore e quale fonte di concreto pregiudizio per il medesimo – all’esito di un così lungo periodo di tempo durante il quale i molteplici e diversificati interventi di contenimento, aiuto e sostegno offerti e concretamente eseguiti in favore della coppia, sono stati da questa rifiutati o si sono comunque rivelati inefficaci – non possono essere ritenuti più transitori e reversibili in tempi contenuti e ragionevolmente compatibili con la indifferibile esigenza del bambino di avere figure genitoriali presenti e affidabili, sul piano affettivo ed educativo, in un periodo delicato per la sua crescita”.

I Giudici hanno quindi concordato nel ritenere irrilevante la mera “intenzione” dei genitori di intraprendere un programma di recupero in assenza di prove concrete sulle azioni compiute e sull’efficacia delle stesse. Di fondamentale importanza quindi la valutazione fatta dai Giudici: i circa tre anni dalla nascita del bambino sono stati definiti “un congruo periodo di tempo” nel quale non vi è stato “alcun significativo segnale di cambiamento” da parte della madre.

Siamo di fronte ad un caso di affidamento, disposto quando il bambino aveva l’età di 1 anno, che ha avuto una durata complessiva di due anni; siamo di fronte ad un bambino dichiarato adottabile all’età di 3 anni e 8 mesi. In tale arco di tempo, dichiarato espressamente “lungo”, i giudici hanno ritenuto che le gravi carenze nei confronti del minore siano perdurate “oltre i limiti di ragionevole compatibilità con le indifferibili esigenze di sano sviluppo psicofisico del minore”.

L’auspicio è che questi tempi siano presi da esempio per i tanti altri operatori del settore che sono chiamati a porre le “indifferibili esigenze del minore” dinanzi a qualunque altra valutazione.