Utero in affitto. Ma i bambini di Kiev di chi sono figli? Un “guazzabuglio giuridico” senza risposte

Il senatore Simone Pillon presenta un’interrogazione al Governo. Per la legge italiana la pratica resta illegale. Ma…

“Un guazzabuglio giuridico, oltre che etico”. Così, sul quotidiano Avvenire, Marcello Palmieri definisce la vicenda dei neonati partoriti con utero in affitto in Ucraina e “parcheggiati” all’hotel “Venezia” di Kiev perché chi li ha ordinati e pagati non può venirli a ritirare a causa del Coronavirus. “Ma di chi sono figli quei bimbi, alcuni dei quali sono stati commissionati da coppie italiane? – si chiede ancora Palmieri – Secondo il nostro Codice civile, madre è la donna che dimostra di aver partorito. Qui, invece, a vantare la maternità non è colei che ha partorito bensì la donna che ha saldato il conto di una clinica riproduttiva perché a sua volta pagasse dopo averla reperita una donna in cui impiantare l’embrione ottenuto con gli ovociti di un’altra donna ancora. Per capirci: nella migliore delle ipotesi, l’unico legame tra la coppia e il bimbo voluto è costituita dal seme del padre. Nel peggiore, nemmeno quello. E, a volte, per non meglio precisate ragioni tecniche, non per scelta dei committenti. Fatto sta che, per la legge italiana, le donne che reclamano quei bimbi non potrebbero essere considerate madri”.

Utero in affitto: in Ucraina il bimbo è figlio di chi l’ha “ordinato”…

E per la legge ucraina? Questa prevede, spiega ancora Palmieri, che “il bimbo è figlio di chi l’ha ordinato, e ne assume la cittadinanza. A patto tuttavia che i committenti dichiarino ciò all’ambasciata o al consolato italiani presso Paese dove è avvenuta la nascita. Cosa attualmente impossibile, perché l’Italia ancora non ha accordato a questi ‘genitori d’intenzione’ la deroga al divieto di spostamento in un altro Paese. Ma avrebbe un buon motivo per farlo? Stando alla legge, no: l’Italia vieta la maternità surrogata con un norma penale, e anche la Corte Costituzionale più volte sollecitata in proposito, nel recente passato ha confermato la piena rispondenza di questa norma alla nostra Carta fondamentale”.

“Mettiamo però – prosegue l’autore dell’articolo – che l’autorizzazione allo spostamento arrivi: cosa accade una volta ottenuto un certificato di nascita ucraino, che menziona come genitori chi ha voluto il bimbo? Innanzitutto, quest’atto dovrebbe essere trascritto cioè riconosciuto nel Comune di residenza della coppia. Ma per il diritto internazionale ciò è consentito purché l’atto in questione non sia contrario all’ordine pubblico, vale a dire ai principi irrinunciabili che regolano la vita di una nazione. Da qui la domanda: è tale la maternità surrogata? La Cassazione ha più volte risposto in senso affermativo. Ma in ogni caso, confortata anche dall’insegnamento della Corte Costituzionale, ha dettato come criterio fondamentale per decidere questi casi ‘il miglior interesse del minore’. Che però, in una situazione come quella ucraina, è ben difficile delineare. Secondo alcuni, dovrebbero essere consegnati quanto prima ai loro committenti. Secondo altri, la soluzione che più tutelerebbe i loro diritti sarebbe quella dell’adozione internazionale. Fatto sta che, ora, quei neonati parcheggiati in un hotel sono privi di genitori e di patria. Chi si sta prendendo cura di loro, in questi giorni, e a che titolo? Ma prima ancora, come detto: di chi sono figli? Il diritto, ora come ora, non è in grado di dare una risposta univoca. La clinica, intanto, continua a considerare genitori i suoi clienti-committenti dei bimbi. E, a loro, fa pure un’offerta speciale: baliatico quotidiano al 50% del suo costo, almeno fino a quando non sarà possibile viaggiare”.

Utero in affitto: l’interrogazione di Simone Pillon

Sconvolgente parlare di sconti, quando di mezzo ci sono delle vite umane, vite di bambini. Eppure la realtà della maternità surrogata è proprio questa. Così c’è chi sta cercando di capire cosa potrà, alla fine, accadere a queste creature. Tra questi il senatore leghista Simone Pillon, autore di un’interrogazione al Governo in cui chiede: “se i ministri in indirizzo, per quanto di loro competenza, intendano mettere in atto misure urgenti per far fronte a una palese violazione dei diritti umani di questi bambini, trattati alla stregua di pacchi postali comprati via internet” e “se intendano valutare la possibilità di non concedere il permesso di spostamento ai “committenti e se ritengano opportuno adottare ulteriori misure volte ad inibire ai cittadini italiani il ricorso all’utero in affitto, anche all’estero“. Non resta che aspettare le risposte…