ELEZIONI POLITICHE 2022. Il vuoto legislativo dell’affido internazionale: una tutela in meno per i minori in emergenza umanitaria

Ogni volta che abbiamo a che fare con guerre, tsunami, terremoti, pandemie, si ripropone lo stesso schema: confusione, allerta, chiamata a raccolta delle anime belle del terzo settore, impegno del Governo, allocazione di fondi… Tutto, sempre, vissuto in emergenza, senza che, una volta spenti i riflettori, si porti avanti un progetto più duraturo e di più ampio respiro

Fiducia, custodia, protezione, cura, presa in carico, consegna, fedeltà, affidabilità. Nel tema dell’affido familiare tutte queste componenti esistono: un bambino che ci viene affidato ripone in noi ogni sua speranza, anche quando è antipatico e insopportabile fino all’inverosimile, o mentre mette a dura prova la veridicità dei sentimenti che proviamo per lui.
Nell’affido internazionale tutto questo è ancor più vero, perché è più arduo e fisicamente impegnativo il salto nel buio che i bambini e i ragazzi devono fare. Così come le risposte che le famiglie devono dare. Nel 2013, in Ai.Bi lo chiamavamo il family to family, proprio per evidenziare il tema della reciprocità e della vicinanza tra la famiglia di origine e quella di accoglienza.

Il triplice scopo dell’affido internazionale

L’affidamento internazionale è entrato per la prima volta nell’osservatorio nazionale dell’infanzia e dell’adolescenza nel 2007 in una triplice forma: l’affido come strumento per far fronte ad accoglienze temporanee volte a mettere bambine e bambini al riparo da conflitti o calamità, in attesa di ricostruire la storia e rintracciare i genitori o la famiglia allargata con il fine ultimo di un ricongiungimento; l’affido, sempre temporaneo, a scopo di formazione per motivi di studio all’estero; l’affido pre-adottivo (escluso per paesi in guerra) destinato ai bambini orfani e sempre nell’ambito di specifici accordi di tutela e garanzia tra Paesi e Autorità.
Ogni volta che abbiamo a che fare con guerre, tsunami, terremoti, pandemie, si ripropone lo stesso schema: confusione, posizionamento di allerta, chiamata a raccolta delle anime belle del terzo settore, impegno del Governo, strette di mano e visite in sopralluogo, allocazione di fondi… Tutto, sempre, vissuto in emergenza, senza che, una volta spenti i riflettori, si porti avanti un progetto più duraturo e di più ampio respiro.
D’altra parte, nei talk si parla spesso di infanzia, ma praticamente mai di affido internazionale, perché esiste la difficoltà di veicolare un messaggio ambiguo, che si confonde con l’adozione internazionale e che entra subito in una zona opaca dove si innestano discorsi relativi al traffico dei bambini, ai “mostri”, gli assassini, i venditori di organi, ecc.
Certo, tutto questo mondo di sotto esiste, ma esiste non perché parliamo e chiediamo di riconoscere l’affido internazionale, quanto piuttosto proprio perché in assenza di norme di solidarietà internazionale valide e riconosciute, ognuno si arrangia come può. E in questo arrangiarsi i furfanti fanno profitti sulla pelle degli innocenti.

Urge discutere di affido internazionale a livello politico e istituzionale

Negli ultimi mesi, con la guerra in Ucraina, c’è stata finalmente una novità significativa, che potrebbe “rischiare” di divenire un’innovazione di portata storica se riuscissimo a farne tesoro: abbiamo visto per la prima volta la Protezione Civile riconoscere l’accoglienza diffusa e il valore dell’accoglienza familiare in una dimensione integrata sui territori.
È vero, le cose non stanno funzionando granché bene. Ma è altrettanto vero che per la prima volta c’è un tentativo di raccontare una storia nuova, creando delle convergenze tra pubblico e privato sociale.
Di tutto questo si dovrà parlare, seriamente, una volta smaltite le emozioni elettorali.
Perché tornare indietro non si può: abbiamo il dovere, umano e civico, di portare a maturazione e a compimento, anche legislativo, il tema dell’affido internazionale.

Marzia Masiello
Responsabile rapporti con le Istituzioni di Ai.Bi.