Le famiglie bloccate in Congo? Cittadini di serie B, rispetto ai tifosi arrestati in Polonia

letta-polonia200Sulla politica estera e le priorità da trattare nelle relazioni internazionali, il governo italiano meriterebbe una sonora bocciatura. La voce grossa che il premier Letta ha fatto per cercare di risolvere il discusso caso dei “tifosi” laziali (se così si può dire) arrestati in Polonia, stride con il sostanziale silenzio che circonda un’altra notizia, ben più grave e complessa, passata in sordina sui principali media nazionali: l’odissea delle 26 coppie adottive bloccate in Repubblica Democratica del Congo. Un calvario, il loro, che dura dal settembre scorso, da quando cioè le autorità congolesi deciso di bloccare le autorizzazioni per il rilascio dei bambini.

Sono 52 in totale, gli italiani in attesa di lasciare il paese, che hanno regolarmente completato l’iter di adozione di 32 piccoli congolesi, e che per rientrare in Italia avrebbero solo bisogno di una firma; un gesto che le autorità del paese africano si ostinano a non concedere. Un cavillo burocratico, che nemmeno l’intervento diretto del Ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge è servito a risolvere, nonostante le garanzie prestate dallo stesso. Ministro cui peraltro compete la Presidenza della Commissione per le Adozioni Internazionali, e che il 4 dicembre (proprio attraverso un comunicato della CAI) ha tenuto a rassicurare le famiglie italiane in Congo che si sta facendo tutto il possibile per dare loro “risposte immediate. Una rassicurazione che giunge esattamente un mese dopo il viaggio della Kyenge a Kinshasa, e che rende quindi il termine “immediate” poco credibile.

A rinforzo, sono giunte anche le dichiarazioni della Vice Presidente dell’Autorità Centrale, Daniela Bacchetta, cui compete la direzione tecnica dell’ente, e che si è smarcata minimizzando e invitando a non fare allarmismi: “Come sempre è, non c’erano certezze, ma nemmeno una situazione che sconsigliasse la partenza”, ha dichiarato.

Sia come sia, non può non colpire la sproporzione delle forze messe in campo, nell’affrontare due questioni così simili, eppure così diverse.

Bisogna fare in fretta”, ha detto il Presidente del Consiglio nei giorni scorsi: parole che meriterebbero certamente approvazione, se fossero riferite al caso del Congo, che dura da mesi. E che invece sono state dette per compiacere la (pure legittima) preoccupazione delle famiglie dei tifosi laziali, per tutelare le quali il premier si è attivato in prima persona, arrivando persino a sfiorare l’incidente diplomatico con la Polonia.

Qual è, dunque, il messaggio che si vuole dare? Che i 22, esagitati tifosi e le loro famiglie meritano maggiore attenzione dei 32, innocenti bambini congolesi e dei rispettivi genitori?

Hai voglia a dire – come si è fatto – che si sta cercando di risolvere la questione nel silenzio della diplomazia. Le coppie bloccate in Congo, in questo momento delicato, apprezzerebbero certamente un premier che s’impegnasse pubblicamente per loro, magari battendo i pugni sul tavolo delle trattative.

Ma evidentemente le priorità sono altre. Il calcio – si sa –  tradizionalmente infiamma gli animi degli italiani e catalizza la loro sensibilità e il loro interesse. Ma del bisogno di famiglia che infiamma il cuore dei bambini congolesi, a chi importa veramente?