Londra: dice no alle adozioni gay, medico rimosso

Una dottoressa bri­tannica è stata ri­mossa da una com­missione per le adozioni perché si era rifiutata di ap­poggiare le richieste di cop­pie omosessuali. Lo riporta oggi il quotidiano “Avvenire”.

Secondo la commissione, il credo re­ligioso di Sheila Matthews, che è cristiana, così come la sua posizione sulle ado­zioni gay, sarebbero “in­compatibili con la legisla­zione sull’uguaglianza e con le politiche delle am­ministrazioni locali”. La donna, una pediatra di 50 anni sposata e madre di un ragazzo, aveva chiesto di astenersi dal voto nei ca­si di adozioni destinate al­le coppie omosessuali. Ma invece di garantirle la ri­chiesta, la commissione ha deciso di rimuoverla.

Matthews ha sotto­lineato come donne e uo­mini abbiano capacità di­verse per l’allevamento dei figli, entrambe necessarie e fondamentali per una crescita equilibrata.

“Conosco – ha spiegato – bambini di coppie gay che vengono di­scriminati costantemente e questo lascia su di loro marchi indelebili”. Negli ul­timi cinque anni la Matthews ha scrutinato le pratiche di adozione accertandosi che le condizioni di salute dei genitori adottivi fossero buone. Assieme a u­na commissione per le a­dozioni, una delle tante sparse nelle amministra­zioni locali del Regno Uni­to, è sempre stata chiama­ta a votare sul verdetto fi­nale che respinge o accetta una coppia.

In passato la Matthews è riuscita ad astenersi quan­do si trattava di coppie gay ma da quando è cambiata la legislazione sull’ugua­glianza, alla fine dell’anno scorso, questo non è stato più possibile. Secondo la nuova legge, le agenzie di adozione, anche quelle cri­stiane, sono costrette a prendere in considerazio­ne le richieste delle coppie gay.

La decisione ha costretto alcune agenzie d’adozione cattoliche (che rappresen­tano un terzo di tutte quel­le del Regno Unito e hanno una reputazione eccellen­te) a chiudere i battenti per­ché il loro lavoro sarebbe andato contro la loro fede e credo religioso. L’anno scorso sono stati oltre 3.200 i bambini adottati in In­ghilterra, novanta di questi da coppie omosessuali.

In più occasioni Ai.Bi. aveva evidenziato che se è vero che ogni persona può decidere liberamente il compagno con cui vivere secondo i propri orientamenti sessuali, è altrettanto vero che questa scelta non può ricadere su un minore abbandonato, che ha già vissuto sulla sua pelle il trauma dell’abbandono.

E’ questa la tesi del libro “Voglio una mamma e un papà” (edizioni Ancora – Amici dei Bambini) in cui le autrici, Giovanna Lobbia e Lisa Trasforini, spiegano i motivi per cui un bambino abbandonato ha bisogno di una figura materna e paterna. La vera discriminazione, vista dalla parte del bambino, è quella di costringerlo a vivere in un contesto di relazione “diverso”, e comunque non idoneo ad una crescita armoniosa.

Essere contrari all’adozione per le coppie omosessuali, infatti, non intende ovviamente escludere la capacità di cura e sensibilità ai bisogni del bambino da parte di un omosessuale, piuttosto si fonda su considerazioni legate al corretto sviluppo della personalità del bambino. Un minore abbandonato, come si legge nel libro, ha bisogno di essere accolto da una coppia di genitori in cui la donna svolga la funzione di protezione e cura tipica della figura materna, mentre all’uomo sia legata la sfera del rispetto delle regole tipica della figura paterna. Qualora manchino questi punti di riferimento, è ovvio che una coppia di omosessuali, siano essi due donne o due uomini, costringono il minore a crescere in una situazione “diversa” e limitante. Pensiamo al problema di “dare un nome”. Come può chiamare un bambino la compagna della madre? Amica, mammadue, zia: nessun nome può definire con chiarezza la relazione, né identificare con determinazione l’accento sulla complementarietà insita nelle parole madre e padre.