Nepal: con le adozioni internazionali sospese, aumentano i “care leavers”

nepal careCon la crisi delle adozioni internazionali e il blocco di tale attività, i bambini abbandonati e gli orfani rimangono nel proprio paese di nascita e restano a vivere in istituti sempre più affollati e meno efficienti nella loro cura e sostentamento.

Se da un lato il minore non subisce il trauma della separazione dal proprio paese, dalla propria lingua, delle proprie radici, dall’altro rimane solo al mondo, senza famiglia e cresce in queste strutture in cui diventa uomo, o donna, e, arrivato alla maggior età deve, per legge, uscirne.

Questo cambiamento è spesso un salto nel buio, un tuffo nell’oceano. I minori escono da un cortile protetto, da una gabbia dorata, per affrontare, soli, il mondo esterno, spesso impreparati ad affrontare l’inserimento sociale e lavorativo e ad essere autonomi e autosufficienti. Incrementando così il numero dei cosiddetti care leavers, i ragazzi cioè, che escono dagli istituti dopo anni.

Cosa può fare, allora, la cooperazione internazionale per questi bambini/ragazzi?

Innanzitutto la continua ricerca per identificare i bisogni dei bambini e delle famiglie in difficoltà, al fine di promuovere iniziative mirate, che possano intervenire in tempo per prevenire la diffusissima pratica dell’abbandono minorile per strada o negli istituti, a cui molti, troppi, genitori delegano l’istruzione, il mantenimento e l’affetto famigliare ai propri figli.

Per molti bambini la vita in un istituto costituisce una chance, soprattutto per quelli che provengono dai contesti agricoli e poverissimi, caratterizzati da forte privazione e marginalità. Andare a vivere in una struttura in città, ancor meglio se nella capitale, sembra essere un colpo di fortuna grazie a cui si può realizzare il sogno di studiare, di avere l’opportunità di imparare dei mestieri, per poi progettarsi un futuro migliore. Questo include naturalmente un percorso di integrazione sociale, culturale e umana – attraverso la socializzazione coi pari e con le figure genitoriali – che verrebbe meno nel caso i minori fossero lasciati in balia della famiglia indigente.

In questo contesto, è molto importante curarsi dei ragazzi e prepararli al meglio alla loro uscita dall’istituto. A tal fine, Ai.Bi. ha organizzato un focus group con alcuni giovani che avevano già lasciato gli istituti, o che sono in procinto di farlo. I ragazzi sono stati intervistati per capire meglio quali siano, dal loro punto di vista, le maggiori difficoltà in quella fase cruciale della loro vita in cui “subiscono”, volenti o nolenti, un forte cambiamento.

I loro feedback e le loro esperienza di vita si sono dimostrati contrastanti. Ma un fattore che ha funto da comun denominatore è stata la critica verso la mancanza, da parte delle strutture, dell’impiego dei cosiddetti “social workers”. Queste sono figure professionali che sanno sviluppare i progetti di vita dei bambini/ragazzi fin dal momento in cui si constata che per loro non vi è alternativa se non la vita in istituto.

Purtroppo pochissimi istituti prevedono la presenza dei social workers, per questo motivo Ai.Bi. promuove un progetto che offra corsi di formazione professionale e di alfabetizzazione per gli adulti per fornire strumenti utili a quanti siano in procinto di uscire dall’istituto per affrontare la vita.

Ai.Bi. inoltre mira alla formazione di personale specializzato nella protezione dell’infanzia abbandonata e alla promozione dei diritti dei bambini. Importante è la componente di advocacy promossa dal progetto, che tende a sensibilizzare le istituzioni, le strutture e la società civile sull’importanza di questa figura per poter provvedere a soluzioni efficaci per i bambini in situazioni di vulnerabilità e per le loro famiglie.