Il disagio senza fine degli adolescenti: se il suicidio diventa un’opzione possibile

Ancora un caso di cronaca mette davanti al suicidio improvviso di un diciannovenne. Segno di un malessere diffuso che non trova risposta e che vede nel suicidio una possibilità di fuga

I titoli, per forza di cosa sbrigativi, recitano più o meno tutti così: “Giovane di 19 anni si uccide dopo un rimprovero dei genitori”. Probabilmente, la scarna sequenza dei fatti, potrà essere stata questa nel caso del ragazzo che si è sparato con la pistola del padre, regolarmente detenuta, pochi giorni fa a San Salvatore Telesino. Ma il gesto in sé certo nasconde un abisso ben più grande, che nessun rimprovero del mondo può giustificare e comprendere in sé.

Il disorientamento degli adolescenti davanti a un “no”

Perché quello che importa, in casi come questi, non è la cronaca di ciò che è avvenuto, le parole che un rientro a ora tarda possono aver scatenato, ma la sproporzione di una risposta che passa da un colpo di pistola e dalla fine della propria esistenza.
Un bell’articolo su La Stampa firmato da Viola Ardone si interroga se, forse, quello che manca ai giovanissimi di oggi sia il senso della sconfitta, la capacità di accettare un “no” o un rimprovero non come la fine di tutto, ma come un inevitabile inciampo dal quale ci si può rialzare e, anzi, si può trovare maggiore forza per crescere. Scrive Ardone: “Forse dovremmo insegnare a sbagliare, a sedere nella polvere dopo una rovinosa caduta e a rimettersi in piedi, seppure laceri e sporchi di fango. Ad ammettere con serenità di aver sbagliato, di essere stati insufficienti, egoisti, ingenui, sciocchi, perché la vita è fatta anche – e per lo più – di insufficienze, egoismi, ingenuità, sciocchezze, da cui nessuno è immune”.

Sicuramente, al di là di quelle che possono essere i lodevoli tentativi di trovare delle cause profonde, di proporre dei diversi stili di narrazione che raccontino la sconfitta, lo sbaglio, anche come un momento di possibile valorizzazione, c’è da interrogarsi sul disagio che attanaglia i ragazzi e gli adolescenti di oggi. Un disagio certamente acuito dalla pandemia, che ha fatto innalzare, e non di poco, i casi di ricoveri in psichiatria e le richieste di un sostegno psicologico anche a scuola, ma anche fomentato da fenomeni che sfruttano i social per istigare al suicidio e proporlo come una soluzione possibile. Perché a volte si ha come l’impressione che questo non sia più visto come “l’estremo gesto”, ma come una delle opzioni sul tavolo davanti a una difficoltà, a un rifiuto, a un vuoto… Che non sia così, dal di fuori, ragionando “a freddo”, è chiaro, ma tutto diventa più confuso e relativo se l’unica cosa che conta è l’ “hic et nunc” di un disagio da mettere a tacere. In qualsiasi modo.