Parbati: “Il mio cuore è a Kathmandu: penso ai miei genitori biologici che magari stanno soffrendo sotto le macerie”

parbatiSe penso che la città in cui sono nata e vissuta per circa 1 anno si stia distruggendo a poco a poco e che, oltre 10 mila abitanti siano morti, mi viene subito una forte tristezza. Pensate che circa 8 anni fa io ero lì e se non fosse stato per mio papà e mia mamma io sarei ancora a Kathmandu soffrendo per il terremoto. Per fortuna alcuni stati stanno aiutando ad ampliare i soccorsi e a ricostruire le case distrutte degli abitanti”. Questo è uno dei passaggi della lettera scritta da Parbati Lingeri, una bambina nepalese di 9 anni adottata all’età di 1 anno. Da 8 anni vive in Italia con mamma Maddalena e papà Cristiano ma il suo cuore ritorna nella sua città natale, Kathmandu, dove sono rimasti i suoi amici e genitori biologici.

Una breve ma intensa lettera (che Parbati ha scritto all’indomani del terremoto del 25 aprile) in cui la piccola Lingeri ha piena consapevolezza di essere una bambina doppiamente fortunata: perché adottata e perché può vivere serena in una famiglia che la ami in Italia, lontana da terremoti e povertà. Ma è proprio da questa consapevolezza che nasce uno stato di tristezza.

“Ieri pomeriggio, il 25 aprile, per la prima volta ho visto Kathmandu – scrive Parbati -, la città in cui sono nata. Purtroppo, non sono riuscita a vederla veramente, ma solo attraverso lo schermo del telefono di mio papà. Ho potuto osservare, però, cose molto spiacevoli perché un terremoto di magnitudine 7.9 ha colpito quella bellissima città e ha fatto cadere la torre Dharahara e parecchie case”.

“A causa di questo terremoto sono morti oltre 10 mila abitanti nepalesi – continua – , mentre i 300 italiani che erano lì a, visitare la città sono, per fortuna, incolumi. Adesso molti soccorritori stanno mettendosi all’opera per salvare le persone ferite; gli ospedali sono molto pieni e la situazione è grave perché purtroppo Kathmandu  non è ben organizzata e non ci sono le medicine per curare i feriti”.

La tristezza prende il sopravvento quando Parbati pensa a chi è rimasto a Kathmandu: i suoi genitori biologici e i tanti bambini che magari non ce l’hanno fatta e sono ancora sotto le macerie.

“Mi affligge una forte tristezza – scrive nella sua lettera Parbati –  quando penso ai miei genitori biologici che, magari, stanno soffrendo sotto le macerie, magari sono già morti o, magari sono feriti. Rivolgo a loro un pensiero di gentilezza perché, anche si mi hanno abbandonato in un orfanotrofio, la mia ‘mamma’ biologica ha deciso con il mio papà biologico (per fortuna) di non abortire e mi ha dato alla LUCE”.

“Sono consapevole anche, che la mia vera mamma – precisa -, rivolge sempre, prima di dormire, un pensiero di gentilezza ai miei “genitori” biologici”.

E alla fine Parbati rivolge una preghiera intrisa di speranza. “Spero tanto che molte persone, tra cui i miei genitori biologici, riescano a sopravvivere. Spero anche che tutti gli edifici e i templi vengano ricostruiti perché io possa ammirare le meraviglie di quella città, quando andrò a visitarla con i miei genitori e con mio fratello Leonardo.