Italia. Nave Allegra. Morire a 15 anni per fame e torture. Dopo un viaggio della disperazione via mare

Cosa possiamo fare per dare un messaggio di speranza agli altri Abou che, inconsapevoli di cosa li aspetti, programmano viaggi simili?

Morire, a 15 anni, per la fame e le torture. La sua storia l’ha raccontata, su Avvenire, Marina Corradi. Lui è Abou, un ragazzo scomparso la scorsa domenica a Palermo, dopo una traversata del Mediterraneo finita male. Troppo male. “Aveva lasciato la Costa d’Avorio e attraverso il deserto era arrivato in Libia – racconta di lui la Corradi – Era stato detenuto e, raccontano le cicatrici sul suo corpo, torturato. Si era imbarcato a Zuara, con tanti altri. Soccorso in mare dalla Open Arms, era stato trasferito sulla nave Allegra. Dieci giorni in isolamento Covid. Ma Abou stava sempre peggio, aveva la febbre, non mangiava, non parlava più. Portato infine in ospedale a Palermo, è morto domenica scorsa”.

Morire a 15 anni per fame e tortura. La Procura apre un’inchiesta

Una morte tragica. “La Procura – prosegue la giornalista – ha aperto un’inchiesta. Si farà l’autopsia. Così sapremo esattamente di che è morto il ragazzo. Anche se temiamo di saperlo già: di infezioni accanite sul corpo sfinito da fame, sete, botte, paura, di un migrante poco più che bambino“. “E forse, intanto – aggiunge – in una casa in Costa d’Avorio c’è una madre che aspetta, ancora”.

Il racconto è crudo, di quelli che prendono allo stomaco. Che fanno male. E fanno così male per un motivo molto semplice: perché sono veri. Reali. La storia di Abou non è un film. Non c’è un lieto fine. La sua storia è una vicenda di disperazione da un lato e, dall’altro, di speranza tradita. La speranza, falsa, che molti ragazzi come lui, in Africa, si costruiscono, sperando nella possibilità di una vita migliore attraversando il mare su barconi fatiscenti. Ma non è così. Meno che mai oggi, in quell’Europa e in questa Italia schiacciate dalle conseguenze di una devastante pandemia.

Morire a 15 anni per fame e torture. Come si può evitare?

E allora subito balza alla mente (e al cuore) una domanda: cosa possiamo fare? Già, cosa possiamo fare per dare agli altri ragazzi che, come Abou, inconsapevoli di cosa li aspetti, programmano viaggi simili? Una soluzione è quella del Sostegno a Distanza. Certo, il mare della disperazione, della sofferenza, è un mare grande. Ma anche una goccia, tolta da quelle acque, può essere importante. Ai.Bi. – Amici dei Bambini da anni si impegna, in Africa, per dare un futuro agli ultimi tra gli ultimi della Terra: i ragazzi e i bambini abbandonati, che vivono negli istituti. Lo fa cercando di dare loro un futuro nelle proprie comunità di appartenenza, di toglierli dalla strada, di insegnare loro a stimolare le proprie capacità.

Il Sostegno a Distanza, per ragazzi così, può tracciare una linea di demarcazione tra la salvezza e l’orrore. Non lasciamoli soli.