BAMBINIxLAPACE. Ucraina: tornare o restare? Il dilemma delle famiglie di Kiev

Ora che la situazione è relativamente più gestibile, tanti ucraini stanno pensando se tornare a Kiev: in un luogo che non sarà mai più lo stesso del 23 febbraio, ma che rimarrà per sempre casa

Allo scoppio della guerra, ormai oltre 4 mesi fa, la domanda che si sono ritrovati a fare molti ucraini è stata: scappare o aspettare? Per lo meno, se la sono posta quelli che hanno avuto il tempo e le condizioni per farlo, mentre chi si è trovato nelle zone subito più colpite non ha potuto far altro che prendere poche cose in tutta fretta e scappare verso altri Paesi o altre zone dell’Ucraina relativamente più tranquille.

Kiev, andata e ritorno

Chi abitava a Kiev si è concesso qualche giorno in più di attesa, monitorando la situazione, provando a resistere e, poi, specie per chi aveva figli o anziani da mettere in salvo, decidendo in gran parte di partire lo stesso.
Ora, dopo ben oltre 100 giorni che hanno sconvolto milioni di vite e scritto qualche pagina di storia che rimarrà per sempre, la domanda si è ribaltata: “Tornare o aspettare”?
Ancora una volta, non tutti possono porsi questa alternativa, perché molte zone dell’Ucraina sono troppo pericolose e bombardate per poter riaccogliere chi da lì è fuggito. Ma, ancora una volta soprattutto per chi abita a Kiev, pensare di poter tornare è diventata un’opzione mai così concreta da diversi mesi a questa parte. Certo, la sicurezza ancora non c’è, come ha dimostrato il recente bombardamento proprio sulla capitale, ma il desiderio di quasi tutti gli ucraini sfollati è sempre stato quello di tornare nella loro terra, e ora che qualche condizione in più per poterlo fare pare davvero esserci, in tanti non vogliono più aspettare.
Non lo vogliono fare anche sapendo che quello che si troveranno davanti sarà uno scenario diverso. Le immagini fanno vedere che la vita riprende, nelle città liberate dai russi, ma anche questo fa parte della comunicazione in tempo di guerra: mostrarsi più forti di quello che si è, come un pugile che incassa un montante alla mascella e lancia strafottente uno sguardo di sfida all’avversario anche se dentro la bocca ballano due denti caduti per il colpo.

Il rumore è una sensazione soggettiva

Lo sanno bene gli operatori che offrono il loro sostegno a chi scappa e a chi ritorna: “Ovunque dicono che la regione sia stata liberata – racconta una testimone tornata nei giorni scorsi in un sobborgo di Kiev. Io mi ero informata e il nostro condominio era ancora in piedi, così siamo tornati!”. Ma l’impatto con la realtà è stato di tutt’altro tenore: “C’è un rumore tremendo, in continuazione, i negozi sono mezzi vuoti, la scuola è distrutta, l’asilo è chiuso, non c’è benzina… E io non capisco cosa devo fare”!
Si tratta di punti di vista, spiega Ludmilla, la cooperante di Ai.Bi. a Kiev: per chi non è mai andato via la città è davvero diventata più tranquilla, ma per chi era abituato a prima e non era qui durante i bombardamenti, la città, oggi, ha un suono spaventoso. Gli echi degli spari si sentono in continuazione e, soprattutto, vedere la distruzione con i propri occhi non è come farlo attraverso le foto di un giornale. “Per esempio – spiega Ludmilla con un efficace esempio pratico – ogni strada è coperta di schegge e pezzi di vetro: con le scarpe puoi camminarci sopra, ma se hai un cane è importante saperlo, perché non lo puoi portare”.
A poco serve dire che la situazione è oggettivamente difficile, perché quello che a ciascuno interessa, tornando, è la soggettività delle proprie abitudini e dei propri bisogni: “Per qualcuno – prosegue Ludmilla – il fatto che non ci sia benzina non è un problema, perché una macchina non ce l’hanno; però vogliono sapere se funziona il pullman numero 45 che li portava al lavoro”. Vogliono capire se l’ascensore potrà portarli fino all’appartamento al terzo piano; se c’è ancora il pediatra nel caso il figlio si ammali; se fanno ancora il caffè in quel bar all’angolo dove era così buono…
Quindi, tornando alla domanda: “tornare o aspettare?”, una risposta universale che valga per tutti non c’è. C’è però da tenere in mente, questo sì per tutti, che comunque vada si può tornare in un luogo, ma non in un tempo. Si può tornare a Kiev, ma non al 23 febbraio. Mai più.
Si può ritrovare la casa, nelle condizioni in cui è, ma si troveranno anche nuove preoccupazioni, nuove paure, nuove occasioni di pianto. Non sono motivi per non tornare, questi, ma sono appunti da mettere in valigia per non farsi trovare impreparati, per quanto possibile.
“All’inizio sarà difficile – spiega Ludmilla, ma poi le cose migliorano, un giorno dopo l’altro”. Non perché arriverà d’improvviso la pace, purtroppo, quella ancora no, ma perché, giorno dopo giorno, insieme si troverà il modo di pulire una strada in più; e poi si scoprirà la saracinesca di nuovo alzata del proprio parrucchiere; e poi qualcuno tirerà fuori un pallone per fare ancora due tiri in cortile, nonostante i nuovi buchi.

Tornare è un po’ rinascere

Lo sa bene la nostra Masha, responsabile di Ai.Bi. Ucraina, che nei giorni successivi allo scoppio della guerra è rimasta a Kiev, a coordinare gli interventi e gli aiuti, in particolare per i bambini di Volodarka che da anni Ai.Bi. sostiene con l’Adozione a Distanza. Lo sa perché è stata la prima, quando la situazione ha iniziato a peggiorare, a fuggire verso l’Italia con la tristezza di chi lascia casa e affetti sotto le bombe, continuando però, da qui, ad adoperarsi e lavorare per i bambini e le famiglie ucraine che sono fuggite o che sono volute restare.
Ma tornare a Kiev è sempre stato l’obiettivo di Masha e, oggi, ha deciso di raggiungerlo.
Proprio in queste ore ci ha scritto dall’aeroporto, dove le hanno ritardato il volo di un paio d’ore per via del temporale. Ci ha mandato un nuovo aggiornamento proprio sui bambini di Volodarka, quei bambini ai quali, tra qualche ora, sarà fisicamente ancora più vicina, mentre, con il cuore, non è mai andata via.
Perché se, come dicono, partire è un po’ morire; tornare è un po’ rinascere! Nonostante tutto.