Il nome della casa che li ospita, l’hanno scelto i ragazzi stessi. Si chiama “Casa Mosè”

messina_ragazzi200I giovani profughi che da qualche giorno sono statti accolti nella struttura  che Ai.Bi. ha aperto a Messina l’hanno  battezzata Casa Mosè. Dare il nome a una casa di accoglienza è una responsabilità. Richiede di considerare la complessità di riferimenti, di idee, di avvenimenti che il nome può comportare nel tempo. E’ necessario pensare al significato profondo per non correre il rischio che possa perdere valore in breve.

Il nome è una dichiarazione, un intento, un progetto che consente alle persone di entrare nell’essenza, nell’identità, nel significato di un oggetto o di un luogo comune con una sorta di bussola di orientamento.

E’ proprio il nome ad attribuire  una determinata specificità, a determinare quella soggettività invece di un’altra. Il nome è conoscenza e consapevolezza di sé, è identità.

Il nome rappresenta la necessità di lanciare un messaggio, dare significato,  aprire pensieri, riflessioni. Dare un nome significa condividere una cultura. E allora il nome della prima casa d’accoglienza di Amici dei Bambini non poteva essere più denso di significato. “Casa Mosè” ai ragazzi è piaciuto perché come Mosè sono stati salvati dalle acque. E inoltre è una figura fondamentale nell’Ebraismo, del Cristianesimo, dell’Islam, e di molte altre religioni. Per gli ebrei è il più grande profeta mai esistito, per i cristiani colui che ricevette la legge divina, per gli islamici uno dei profeti, la cui rivelazione originale andò perduta.

Mosè, quindi è una figura che lega tutti e pur nelle differenze tra una religione e l’altra, aiuta a esaltare le affinità, rispetto alle differenze. Che è poi la base su cui si può costruire la cultura dell’accoglienza.