I disegni dei piccoli rifugiati siriani e quel silenzioso grido di dolore

SIRIADal nostro inviato (Luigi Mariani) – Quanto deve essere difficile crescere lontano dalla propria terra, dagli amici, dalle persone care. Ancora più difficile accettare di averli dovuti lasciare per colpa di una guerra che non ci appartiene, che ci ha tolto quasi tutto, che ci ha strappato violentemente dal nostro mondo. E quanto deve essere difficile dimenticare l’orrore delle bombe, degli spari, delle grida, del sangue.

Ho capito tutto questo da alcuni disegni che i bambini siriani della scuola “Al Mumayezun”, a Iskenderun, sulla costa mediterranea della Turchia, hanno appeso ai muri delle proprie classi. Ho avuto modo di visitare la struttura qualche giorno fa, in previsione dei campi di volontariato che Amici dei Bambini sta organizzando per il prossimo luglio.

Era domenica, la scuola era deserta, e nel silenzio assordante di quelle aule vuote, quel grido di dolore risuonava ancora più potente. C’era il canarino triste, che, piangendo, pigolava: «Siria». C’erano degli uomini in sella a quelli che sembravano cavalli, ma che in realtà erano carri armati: sparavano in alto, a quelle che sembravano astronavi, ma in realtà erano elicotteri. E poi c’erano le scritte “I love Syria” e “I love freedom” – opera, forse, dei più grandicelli – che tappezzavano le pareti ovunque. “Ritraggono spesso armi e scene di guerra”, mi ha confermato un professore.

Mi sono reso conto, in quel momento, che nel cuore di quei bambini si cela un mistero profondo, che nessuno può spiegare davvero.

La scuola (che oggi conta quasi 200 studenti, tra asilo, elementari, medie e superiori) è nata per volontà di alcuni siriani costretti a riparare in Turchia a causa della guerra; dei generosi benefattori, che in questo modo cercano di supportare la propria comunità. L’obiettivo primario è quello di allontanare i giovani siriani dalla strada e sottrarli al lavoro minorile; attraverso l’educazione e l’insegnamento – mi hanno detto testualmente i professori – “vogliamo restituire ai nostri studenti una speranza per il futuro”.

Ma anche la generosità ha un prezzo: i conti dell’istituto sono in rosso e alla scuola – al di fuori di banchi, sedie e lavagne – manca quasi tutto. Nonostante questo, pur di accogliere il maggior numero di bambini possibile, sono state allestite delle classi persino all’interno delle cucine.

Il nome della scuola, in arabo, significa “I prescelti”. E questi bambini, che qui hanno modo di condurre una vita quasi normale, di certo possono ritenersi fortunati rispetto a tanti coetanei che ancora vivono in Siria: pur fra mille difficoltà, la vita sembra aver riservato loro una seconda possibilità.

È vero, in fondo i bambini sanno adattarsi in fretta, fare nuove amicizie, trovarsi nuovi spazi fisici e ideali dove ricrearsi il proprio mondo, dove tornare a crescere e sperare. Ma in un angolo del proprio cuore, molti di questi bambini avranno sempre un canarino triste che, piangendo, pigola «Siria».

 

Per chi fosse interessato a confrontarsi con la realtà dei profghi siriani in Turchia e a conoscere più da vicino i bambini della scuola Al Mumayezun, Ai.Bi. sta organizzando dei campi di volontariato a Iskenderun, dal 19 luglio al 3 agosto. Per maggiori informazioni, clicca qui.