Uccisi o indottrinati alla guerra. Il destino dei bimbi islamizzati

bambino soldato siriaRiportiamo di seguito l’articolo pubblicato dal quotidiano “Libero” martedì 9 settembre, a firma del giornalista Alessandro Carlini, all’indomani delle dichiarazioni di Leila Zerrogougui, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i minori nei conflitti armati, che ha denunciato come, dall’inizio del 2014, i miliziani dell’Isis avrebbero ucciso o mutilato non meno di 700 bambini.

 

Reclutati come jihadisti o massacrati. Sembra proprio questo il tragico destino dei bambini che hanno a che fare con i miliziani dell’Isis che operano fra Siria e Iraq. Ieri è stato fatto un annuncio sconcertante da Leila Zerrougui, rappresentante speciale dell’Onu per i minori nei conflitti armati, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: “Sappiamo che fino a 700 bambini sono stati uccisi o mutilati in Iraq dall’inizio dell’anno, anche con esecuzioni sommarie” dall’Isis. “Sono profondamente preoccupata per i recenti attacchi dell’Isis contro le minoranze, compresi donne e bambini, nella zona sotto il loro controllo in Siria e Iraq”, ha aggiunto, precisando di essere “inorridita dal totale disprezzo per la vita umana dimostrato dallo Stato Islamico”. Zerrougui ha poi affermato che l’Isis ha reclutato bambini di 13 anni come soldati, mentre altri sono stati sfruttati come attentatori suicidi.

E la riprova di quello che ha denunciato arriva dall’intervista in esclusiva che la Cnn ha fatto a Mohammed, così viene chiamato, con un nome inventato per motivi di sicurezza, il 13enne che è stato addestrato nei campi dell’Isis nel nord della Siria e ha assistito a decapitazioni e lapidazioni. Ora vive sotto protezione in Turchia con la famiglia e ha potuto raccontare la sua storia terribile. “I miei amici e io stavamo studiando nella moschea quando i jihadisti ci dissero che dovevamo arruolarci nell’Isis. Io volevo andare, ma mio padre me lo impedì”. Quando i jihadisti lo scoprirono, minacciarono suo padre: “Se non ce lo lasci, ti decapiteremo”. E così alla fine Mohammed fu obbligato a partire. “Per 30 giorni ci svegliavamo, marciavamo, facevamo colazione e quindi a lezione di Corano e del profeta. Poi ci insegnavano ad usare le armi, i kalashnikov e altre attrezzature militari”. Secondo Mohammed, alcuni militanti erano gentili, ridevano e scherzavano con le giovani reclute, altri invece costringevano i ragazzini ad assistere a cose orribili, normali però nella vita quotidiana del Califfato islamico.

“Portavano dei bambini al campo per frustarli”, dice Mohammed nel video. “Quando andavamo nella moschea ci ordinavano di andare il giorno successivo in un posto ad un orario ben preciso per assistere a decapitazioni, frustate e lapidazioni. Abbiamo visto un giovane crocifisso per tre giorni, dopo che si era rifiutato di digiunare per il ramadan, e una donna uccisa a colpi di pietre perché aveva commesso adulterio”. Il ragazzino afferma di aver compreso alcune delle lezioni al campo, come l’importanza delle preghiere e del digiuno, ma non capiva parole come “infedeli” e il motivo per cui lì si dovesse combattere. Ai ragazzini veniva anche insegnato a giurare fedeltà al leader dell’Isis, Abu Bakr Al Baghdadi, ed erano considerati pronti a combattere (e a morire) non appena terminato l’addestramento.

Il padre di Mohammed tentò più volte di andare a trovare il figlio al campo, ma venne respinto con la scusa che il ragazzo non c’era o era stato portato da un’altra parte. “Avevo fiducia in lui, sapevo che non poteva diventare come loro”, racconta oggi. Alla fine, riuscì a portarlo via e la famiglia riparò in Turchia. Ma molti non ce l’hanno fatta e alcuni sono morti in combattimento. E ora Mohammed non sa cosa fare, non vuole tornare a scuola perché dice che è troppo tardi, ma vorrebbe imparare il mestiere del padre commerciante.