I figli adottivi: “Non siamo l’ultima scelta. Non vorremmo mai dei genitori passati prima per l’eterologa”

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Vietare l’adozione a chi prima ha provato la via dell’eterologa per avere un figlio: la proposta shock di Amici dei Bambini ha generato molte reazioni e polemiche. Così, abbiamo ritenuto giusto andare a sentire la voce dei veri protagonisti dell’adozione: coloro che hanno provato l’abbandono prima e l’accoglienza poi, i figli adottivi. Ecco il punto di vista di alcuni Ai.Bi. Giovani, il gruppo di volontari di Ai.Bi. che hanno vissuto in prima persona l’esperienza dell’adozione.

“Traditi”, “presi in giro”, “inadeguati”. È così che si sentirebbero i figli adottivi se i loro genitori, prima di intraprendere la strada dell’adozione, avessero tentato quella dell’eterologa.

“Se io fossi stata solo il frutto dell’ultimo tentativo di avere un figlio da parte dei miei genitori – dice Andressa Barel, 19enne brasiliana, adottata da una coppia friulana – mi sentirei presa in giro: penserei che mio padre e mia madre volessero solo un figlio e non avessero alcuna intenzione di salvare un bambino abbandonato. Sarei solo l’ultima spiaggia, dopo una serie di tentativi falliti. Dopo non essere riusciti ad avere un figlio naturale e neppure con l’aiuto della tecnologia, solo allora i miei genitori si sarebbero rivolti all’adozione”.

Le fa eco Martin Bertoldo, 21enne di origine peruviana che vive a Torino con i suoi genitori adottivi. “Non riesco a pensare all’eterologa se non come a un tradimento di un coniuge nei confronti dell’altro – afferma –: del resto almeno uno dei due, all’interno della coppia, non sarebbe il genitore reale del figlio che dovesse nascere. E anche io come figlio adottivo, se fossi entrato nel cuore dei miei genitori solo dopo il fallimento della fecondazione artificiale, mi sentirei tradito. ‘Perché non avete pensato subito all’adozione?’ chiederei loro. ‘Sono solo l’ultima scelta, la possibilità di riserva?’

È forte in questi ragazzi la consapevolezza che, oggi, è sempre più diffusa la pretesa di avere un figlio a ogni costo, piuttosto che il desiderio di dare una famiglia a un bambino abbandonato. Ne è cosciente Marco Carretta, coordinatore nazionale degli Ai.Bi. G: “So bene che scegliere il percorso dell’eterologa – dice – è più facile e più comodo di incamminarsi sulla strada dell’adozione. Ma se io fossi ancora un bambino chiuso in un istituto e sapessi che, da qualche parte nel mondo, c’è una coppia che prova, con tutte le sue energie, ad avere un figlio in modo diverso dall’adozione, mi chiederei: lo fanno perché non vogliono me? Forse sono io che non vado bene? Non sono adeguato per fare il figlio? Non mi accetterebbero?”

Quella che manca, secondo Carretta, è una efficace cultura dell’accoglienza. “Molte di quelle persone che ricorrono ai metodi scientifici per avere un figlio – afferma – non sanno bene in che cosa consista il cammino dell’adozione. Noi come figli adottivi abbiamo il dovere di impegnarci per diffondere una nuova cultura dell’accoglienza.