E’ proprio necessario allontanare un bambino dalla sua famiglia di origine? Non ci sono interventi meno traumatici?

Cara Ai.Bi.,

ho letto la commovente storia di quel bambino allontanato dalla sua famiglia di origine e dato in affido a una vostra casa famiglia. Mi ha colpito particolarmente il passaggio in cui si descriveva la sua profonda tristezza nel momento della separazione dalla sua mamma. “Sarebbero trascorsi solo pochi mesi prima di riabbracciarsi sotto lo stesso tetto”, si legge nell’articolo. In realtà, credo che solo il piccolo protagonista di questa storia possa sapere, dentro di sé, quanto quei “pochi mesi” siano stati lunghi senza la sua casa e la sua mamma.

So che misure come l’affido familiare o il collocamento in casa famiglia sono di fondamentale importanza per la tutela di quei minori che vivono in situazioni di difficoltà, ma vorrei capire perché i servizi sociali non cercano di applicare in modo più massiccio quegli strumenti di intervento “leggero” che non comportano necessariamente l’allontanamento del bambino dalla famiglia di origine.
grazie,

Alessio

 

psicologoCaro Alessio,

la progettazione di un intervento di allontanamento di un minore dalle proprie figure genitoriali è caratterizzata da una forte complessità che coinvolge più istituzioni ed operatori: la separazione di un bambino dal proprio genitore è prevista solo se necessaria ai fini di garantire al bambino protezione e cura e ridurre i fattori di pregiudizio, ciò che si vuole valutare prima di tutto è l’opportunità di ricongiungimento del nucleo su un piano di maggiore tutela del bambino stesso.

Detto questo è chiaro che l’impegno principale di tutti gli operatori, coinvolti nell’ambito minori a vario titolo, deve essere l’intervento in una fase più precoce possibile, intercettando i fattori di disagio e intervenendo su questi prima che diventino di rischio, purtroppo spesso il servizio sociale non riesce a cogliere i primi segnali per agire in un’ottica preventiva e l’intervento appare quindi tardivo e solo “portatore di tristezza” e di esperienze difficili.

Il lavoro di prossimità alle famiglie, di attivazione di reti sociali spontanee, di sensibilizzazione delle scuole, dei pediatri, delle realtà parrocchiali, di volontariato e associative si rivela preziosissimo se in rete con i Servizi Sociali. Va, inoltre, considerato il desiderio del nucleo famigliare in condizioni di disagio di farsi aiutare, spesso c’è il timore di non chiedere aiuto per la paura delle conseguenze, anche su questo è necessario che tutti si impegnino, nel dare un’immagine del servizio sociale come una possibilità di aiuto e sostegno e non come coloro che puniscono chi è in difficoltà….

Insomma dobbiamo impegnarci tutti a far circolare un po’ “di umanità”, e di sensibilizzazione rispetto ai possibili aiuti, di riconoscimento e valorizzazione delle fatiche e degli impegni di chi, con poche risorse e con magari una storia difficile alle spalle, cerca di fare bene il genitore….perché per il suo bambino è il genitore, per lo meno laddove è possibile.

Cordiali saluti

L’equipe psico-sociale di Ai.Bi.