Adozione. Che cosa spinge una coppia a voler diventare genitori di un figlio non biologico? 

Adottare un bambino è una scelta che richiede coraggio, generosità e amore. Ma è una scelta che si accompagna anche a tante paure, dubbi e incertezze. Cosa significa essere genitori a prescindere dal sangue?

Valentina Petrini, in un articolo pubblicato di recentemente  su “FQ Millennium” riporta alcune testimonianze che raccontano il timore che a volte prende le coppie quando affrontano il tema della Adozione.
Le motivazioni che spingono una coppia a intraprendere un percorso di adozione possono essere diverse: il desiderio di avere un figlio quando la natura non lo consente, il bisogno di dare una famiglia a un bambino che ne è privo, la volontà di ampliare la propria famiglia con un altro figlio, la sensibilità verso le situazioni di disagio e di povertà che colpiscono tanti bambini nel mondo.

Adottare un bambino significa accoglierlo come proprio, salvandolo dall’abbandono

Significa anche aprirsi alla diversità, al confronto, al dialogo, alla comprensione. Significa infine assumersi la responsabilità di essere genitori a tutti gli effetti, con i diritti e i doveri che ne derivano.

Cosa significa essere genitori adottivi?

Essere genitori non significa solo trasmettere il proprio patrimonio genetico, ma anche il proprio patrimonio culturale, emotivo, relazionale. Il legame tra genitori e figli non si basa solo sul sangue, ma anche sull’affetto, sulla fiducia, sul rispetto, sulla condivisione.

Le paure prima dell’adozione

Nell’articolo emergono numerosi timori e interrogativi che possono pararsi di fronte alla possibilità di un’adozione: “Cosa potrei offrire io a una bambina o bambino nato in un continente diverso dal mio? – si interroga una persona – Altra cultura, religione, usanze differenti. Non adotti mica creature in fasce, di pochi giorni o mesi. Alcuni hanno anche quattro, cinque, sei, sette anni. Non sarei in grado, no. Mi dispiace”

Il racconto di un’adozione difficile

Nell’articolo si fa riferimento al caso si un bambino con una sindrome rara, di due anni.
Alla richiesta del medico se fosse disponibile ad adottare il piccolo, l’aspirante madre ha detto sì.
“Non avevamo mai escluso un bambino malato purché fosse qualcosa che potevamo gestire”.
Abbandonato a un mese in ospedale, il piccolo non parlava e non interagiva.
Era stato classificato come paziente con problemi neurologici. A due anni aveva già subito interventi cardiaci, aveva la Peg (Gastrostomia Endoscopica Percutanea, un dispositivo che collega lo stomaco all’esterno del corpo, attraverso la parete addominale, ndr), non poteva bere e mangiare, doveva affrontare un nuovo intervento e poi fare molte altre terapie riabilitative.
Oggi il bambino ha 5 anni: cammina, va all’asilo, non ha più la Peg,  “Parlerà, ce l’hanno assicurato i medici. Non ha alcun disturbo neurologico”.

Informazioni e domande sull’adozione internazionale

Chi sta considerando un’adozione internazionale o semplicemente desidera avere maggiori informazioni a su questi temi, può contattare l’ufficio adozioni di Ai.Bi. scrivendo un’e-mail a adozioni@aibi.it