Non ci siamo rivolti all’adozione internazionale perché non vogliamo avere l’impressione di comprare il nostro bambino

Durante gli incontri con le coppie sono tanti gli interrogativi e i dubbi che vengono sollevati. Uno, non così raro, riguarda chi non si rivolge all’adozione internazionale perché non vuole avere l’impressione di “comprare” un bambino. La risposta della psicologa

Il tema del costo economico a carico delle famiglie che affrontano l’adozione internazionale è presente da molto tempo nel dibattito italiano, stimolato soprattutto degli attori coinvolti, sia come operatori sia come famiglie.
I costi legati a questo percorso sono relativi all’attivazione di un sistema complesso che prevede il lavoro di moltissime persone, sia nei Paesi di origine dei bambini, sia nei Paesi degli adottanti.
Esiste il lavoro di accompagnamento dei bambini che si trovano in stato di abbandono e che vengono preparati e seguiti dentro al percorso adottivo. C’è un grandissimo lavoro di preparazione e accompagnamento delle famiglie adottive, sia nel percorso di avvicinamento che durante tutto il processo. Inoltre, va ricordato che l’accompagnamento delle coppie è di tipo psicologico e formativo, ma anche burocratico, dato che ci si trova a lavorare a cavallo fra due Paesi sovrani ed esistono grandi e delicate implicazioni legali e politiche.
A questi costi, idealmente bisogna sommare quelli inerenti il lavoro che viene sostenuto dai Tribunali dei minori italiani e dai Servizi socio-sanitari per l’adozione nazionale, che richiede grandissime risorse equiparabili in parte a quelle dell’adozione internazionale. Questi, però, non rappresentano un costo vivo, poiché gli operatori coinvolti fanno già parte del sistema pubblico e sono sostenuti da tutti i contribuenti.

Per la PMA si paga solo un ticket. L’Adozione costa migliaia di euro

Se ci si riflette, anche la Procreazione Medicalmente Assistita ha dei costi altissimi, che però sono in larghissima parte sostenuti dalla Comunità, dato che alle famiglie viene data la possibilità di pagare un ticket e non di pagare il reale costo degli interventi compiuti.
In pratica, dunque, questo tipo di percorso verso la genitorialità è sostenuto da tutta la Comunità, ripartito equamente attraverso il pagamento delle tasse, mentre gran parte di quello dell’adozione internazionale no.
L’Adozione Internazionale, infatti, prevede di passare “obbligatoriamente” attraverso Enti Autorizzati, che sono Associazioni del Privato sociale facenti però funzione pubblica. Una necessità data dall’impossibilità dello Stato di farsi carico di procedimenti operativi complessi che riguardano il rapporto fra stati diversi.
È vero che la presenza della Commissione Adozioni Internazionali, che è un organo pubblico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui Presidente viene nominato dal Ministro della Famiglia, può dare l’idea che l’adozione internazionale sia un percorso verso la genitorialità sostenuto dalla politica, ma nella pratica tutti i costi ricadono sulle famiglie adottive, anche se sono previsti parziali rimborsi delle spese sostenute dalla coppia.

La “ricchezza” di un’adozione

Deriva anche da questo l’idea di “pagare” il proprio bambino. Un’idea che può impaurire e allontanare dall’adozione e che, più in generale, crea imbarazzo a chiunque lavori nel campo quando si trova a dover associare l’accoglienza di un bambino abbandonato a dei costi così elevati.
Chi lavora nel campo, però, vive tutti i giorni anche l’importanza e la bellezza di questo tipo di famiglie, il valore etico di accogliere un bambino del mondo, combattendo discriminazioni di ogni tipo e promuovendo un vivere più ecologico e sostenibile. Equo.
Chi è immerso in questo mondo, perciò, non se ne allontana a causa delle contraddizioni e delle complessità che ne fanno parte, ma cerca di essere un agente culturale, facendo “battaglie” culturali e politiche tutti i giorni per la gratuità dell’adozione internazionale per le famiglie che la compiono e promuovendo in tutti i modi l’accoglienza di bambini che esistono già, in tutto il mondo, e che sono soli, senza punti di riferimento e senza futuro.

Francesca Berti, Psicologa Psicoterapeuta