Adozione internazionale. Cina, Liang “Ha iniziato a parlare in italiano solo quando anche io sono stata scelta definitivamente come madre”

Sono passati già tre anni?”, spesso mi sento dire da amici o parenti. “Sì, e li ho sentiti proprio tutti”, rispondo, tra espressioni sconcertate di chi pensa di aver fatto una gaffe. “Niente affatto, non fraintendiamo: l’adozione di nostro figlio – che oggi ha 8 anni e mezzo – procede bene ma sarebbe una bugia dover descrivere gli ultimi tre anni dipinti di rosa”. A parlare a cuore aperto è Francesca, di Milano e mamma adottiva di Liang (nome di fantasia ndr) .

Ogni settimana la rubrica #iosonoundono propone storie di famiglie adottive rientrate da ogni Paese del mondo:  prevale, come è naturale, la gioia di essere diventati famiglia grazie a un bambino che, malgrado la sua sofferenza, è stato  in grado di far rifiorire la vita.

Ma non c’è famiglia che, a qualche anno di distanza, non racconti anche le fatiche di crescere loro figlio che, non dimentichiamolo, porta con sé il trauma dell’abbandono.

Essere adottivi è una condizione, uno stato dell’anima e dell’esistenza –  precisa Francesca – ci auguriamo che questi appunti sparsi possano far comprendere cosa voglia dire, in concreto, vivere tutti insieme l’adozione, nel nostro caso da quel giorno di fine giugno 2014”.

E così Francesca raccoglie e ci confida ricordi ed emozioni “catalogandoli” in “appunti tematici”.

Mezzi di trasporto – “Siamo diventati famiglia prendendo voli intercontinentali, voli interni alla Cina, autobus, metropolitane, taxi. La sala parto, per così dire, è stato una salone comunitario dove uomini e donne di vari Paesi del mondo vivevano il loro travaglio, cessato solo quando tanti bambini sono entrati in braccio o accompagnati da tate che, nel giro di 10 minuti, hanno ringraziato e arrivederci. Noi, con quei bambini impauriti lì davanti, a simulare tranquillità”.

Abbondanza di mezzi di trasporto anche per arrivare in Italia dove l’adozione è iniziata sul serio. “Il primo anno mi sentivo perennemente sotto un treno – racconta – , il secondo sotto un tram, il terzo sotto un autobus o veicolo simile. Questo per dire che, al netto di tutto quello che di bello c’è in una adozione, si sente la fatica di accompagnare un bambino di quasi 6 anni; fatica che si stempera man mano che il ragazzino acquisisce certezze e autonomia. E non parlo della normale vita di un figlio che va all’asilo, poi a scuola, ha impegni sportivi e sociali: questo c’è stato e, per fortuna, nel nostro caso non ha generato difficoltà. Più impegnativo è stato invece vivere faccia a faccia con il suo abbandono che, con varie modalità e espedienti, è emerso nella quotidianità dei tre anni”.

Per questo siamo stati preparati e accompagnati da Ai.Bi – precisa Francesca -: senza la formazione e il supporto degli esperti sarebbe stato complicato e forse avremmo commesso errori importanti per nostri figlio. Insomma, esperienza bellissima e sfiancante, per tutti. Per i genitori può esserci anche un leggero ringiovanimento e il recupero del peso forma a causa di frequenti rincorse dietro al suo monopattino. Per nostro figlio: tanta fatica, molta rielaborazione del passato, tanta felicità per essere riuscito a superare gli ostacoli. Questa estate, durante una gita in barca in cui non ha smesso di sorridere e divertirsi ha detto: “Sto proprio bene!”. In definitiva: si può fare”.

L’italiano nato in Cina – Non passa giorno che nostro figlio non si senta in un certo senso sdoppiato: italiano sì, non solo perché lo è diventato all’istante con l’adozione, perché vive in Italia, perché ormai parla con inflessione lombarda e come ogni milanese sale sulla sinistra delle scale mobili della metropolitana per conquistare l’uscita. Ma cinese sempre: non solo per i suoi tratti somatici ma anche perché quasi 6 anni di vita in Cina sono una vita per un bambino. Ad oggi lui ha vissuto più in Cina che con noi. La lingua italiana è stata accolta solo quando anche io sono stata scelta definitivamente come madre, quasi un anno dopo il rientro dalla Cina”.

 “Solo negli ultimi mesi è subentrato l’interesse per il dialetto lombardo: il brano del quartetto Cetra “Crapapelada” va per la maggiore, ma anche Jannacci non dispiace.  Se va in crisi o i suoi fantasmi del passato riaffiorano, è il cibo cinese che lo conforta. Perfino quello cucinato da me che deve essere come per noi gli spaghetti al pomodori cucinati in Svezia. Sono le foto o i ricordi della nostra vita insieme in Cina  a fargli riannodare le fila della matassa ingarbugliata; è il pensiero di poter un giorno tornare a salutare le persone dell’istituto e della casa famiglia in cui è vissuto a placare il suo animo tormentato”.