Adozione internazionale e decreti vincolati: idonei sì, ma solo per un minore che in futuro non avrà problemi

“Idonei a un minore che non presenti problemi sanitari che ne possano compromettere l’autonomia in età adulta”. Così recita il decreto. Ma cosa significa davvero?

L’iter adottivo, è cosa nota a tutte le coppie, prevede una serie di colloqui con i Servizi Sociali e con il Tribunale dei Minori, al termine del quale quest’ultimo emette un decreto. A volte, succede che questo decreto contenga delle indicazioni non facili da comprendere e, soprattutto, misteriose agli occhi dei genitori, tanto nelle loro motivazioni quanto nelle possibili conseguenze per il futuro.

Idonei a un minore che non presenti problemi sanitari che ne compromettano l’autonomia in età adulta

È il caso, per esempio, di una coppia che ha ricevuto il decreto da parte del Tribunale con queta dicitura: “Idonei a un minore che non presenti problemi sanitari che ne possano compromettere l’autonomia in età adulta“. La coppia racconta così il proprio percorso: “Iniziato poco prima dello scoppio del Covid e svolto con i Servizi, per lo più, online. Già durante lo studio di coppia con i Servizi abbiamo affrontato la questione dello stato di salute del nostro futuro figlio. Ovviamente, come ogni genitore al mondo, nessuno vorrebbe un figlio con problemi e, su sollecitazione dei professionisti, abbiamo provato a immaginare di essere nei panni di una famiglia biologica a cui il medico (durante la gestazione) sentenziasse una possibile patologia del nascituro. Cosa si fa in quel momento? Tra le lacrime e un abbraccio alla pancia si risponde solamente: “È nostro figlio, lo faccia nascere e affronteremo con amore e ogni cura possibile ciò che si dovrà”. Ma quando si tratta di adozione? Si può scegliere? Si può dire all’ente o al Paese straniero ‘no grazie, passiamo il turno. Proponeteci un altro bambino?’ Abbiamo diritto a rifiutare, vero? Perché dobbiamo incappare in una strada difficile da percorrere, quando vogliamo solo un figlio (sano)? Già non siamo riusciti ad avere “figli nostri”…
E, comunque, anche se il bambino che ci presenteranno dovesse avere qualche problemino lieve e risolvibile, d’accordo, accetteremmo. Ma appunto “niente patologie che ne compromettano l’autonomia in età adulta”. In fondo, quando non ci saremo più noi genitori a prenderci cura di nostro figlio, come farà a cavarsela da solo?”

Al di là dei decreti vincolati, come si può misurare l’amore?

Un pensiero molto umano, per certi versi, in cui si percepisce la paura dell’incognita e delle conseguenze sconosciute di una decisione da prendere ora e per la quale, in fondo, non fa poi così male pensare di dire di “no”.
Ma, in tutto questo, perché nessuno invita quella coppia a mettersi nei panni del figlio?
Perché non la invita a provare a pensare al possibile futuro non dal proprio punto di vista, ma da quello di un bambino che attende i propri genitori? Da quello di chi ha avuto la sfortuna di nascere con qualche problema e che, magari proprio a causa di questa condizione, si è trovato abbandonato da chi “per natura” avrebbe dovuto prendersi cura di lui, amarlo e stargli vicino?
E perché non pensare anche al fatto che, sempre per questa sua caratteristica, molto probabilmente nessuna famiglia adottiva nel suo Paese ha voluto accoglierlo, spaventata ‘dal futuro’?
Questo bambino è solo, magari sofferente per questa sua “peculiarità”, e attende (invano) che una coppia si senta chiamata ad accoglierlo e a curarlo.
Nessuno pensa di “mettersi nei panni” di questo bimbo. L’assistente sociale e lo psicologo durante lo studio di coppia probabilmente non ve lo hanno mai chiesto. E voi non ci avete pensato.
Ma la vita di questo bimbo è già stata spezzata e devastata a sufficienza, perché, allora, non prendere in considerazione la possibilità di diventarne papà e mamma?

Per il “futuro”, ovvio, nessun genitore vorrebbe lasciare un figlio, con disabilità, solo! Ma se siamo dei bravi genitori, questo bambino avrà occasione di vivere una bella vita. Faremo in modo, per tutto il tempo in cui avremo la fortuna di esserci al suo fianco, di sviluppare con lui una rete amicale e sociale (o di sostegno) per il “dopo”. Se non ci chiuderemo come dei ricci nella nostra famiglia, imprigionati da paure e stereotipi, daremo a nostro figlio opportunità di vivere relazioni, farsi degli amici, avere dei parenti, sviluppare le sue abilità (anche se zoppo, sordo, monco…). Cos’è “l’autonomia futura”? Come si misura? Qual è il limite tra lieve e reversibile e/o grave e invalidante? A chi spetta decidere il futuro sviluppo di salute di un bambino che oggi è abbandonato e aspetta una famiglia? A un giudice prevenuto? A professionisti e organi istituzionali del sociale che non vogliono un altro “caso da welfare” tra le mani? A una famiglia timorosa?
Come si misura la “sanità”? Come si misura l’evoluzione futura?
Ma, soprattutto, come si misura l’amore?