Adozione Internazionale. Un nuovo figlio in famiglia e 129 sguardi che non si dimenticano

La storia di una coppia che ha adottato un bambino e che ha deciso di sostenere a distanza altri bambini in difficoltà

Questa è la testimonianza di una coppia che ha adottato un bambino che ha vissuto per tre anni in un istituto dove erano ospitati altri 129 bambini, tutti in attesa di una famiglia.
La coppia racconta le emozioni provate nel conoscere il proprio figlio e nel vedere gli altri bambini che li imploravano di portarli via. La coppia racconta anche la decisione di fare qualcosa per aiutare altri bambini nel paese d’origine del loro figlio, attraverso il sostegno a distanza. Una storia di amore e solidarietà.

La testimonianza

“Nostro figlio ha sempre raccontato molto del suo passato e, nonostante sia trascorso diverso tempo da quando è con noi, ogni giorno scopriamo qualcosa di nuovo su quello che faceva nell’istituto in cui ha vissuto per tre lunghissimi anni. Anni in cui non ha visto altro che la struttura e il giardino che circondava le quattro mura dell’hogar (una casa di accoglienza).

La vita nella casa di accoglienza

In realtà sappiamo che per la festa del patrono, accompagnati dagli adulti di riferimento, i bambini uscivano per andare in città (l’istituto era in periferia) in piazza a festeggiare ed erano invitati a mangiare nel tendone vicino a quello delle autorità, allestito per l’occasione per loro, ricevendo dolciumi e piccoli pensierini dai residenti che, così, una volta all’anno, si prendevano cura concretamente dei piccoli ospiti.
Ah no, dimentico che anche quando la condizione di salute era decisamente grave, il medico che costantemente visitava tutti i bambini e che li curava a domicilio, consigliava di portare il tal bambino in ospedale. Ecco quella era un’altra uscita, ma meglio non succedesse.

Il rapporto con gli educatori

Nostro figlio ci racconta che non era trattato male. Da quel che capiamo, i tre educatori che presenziavano contemporaneamente tutto il giorno, con gli altri tre che si davano il turno per coprire le 24 ore, erano sempre presenti, disponibili, affabili con tutti i bambini.
Nostro figlio ha un buon ricordo di questi professionisti (e dei loro sostituti quando i referenti si assentavano) che ha conosciuto nei suoi tre anni di permanenza.
Immaginiamo che quello che questi adulti di riferimento potevano fare, lo facevano. Devono essere stati ottimi operatori, con buone intenzioni e gran voglia di gestire bene il loro lavoro, al meglio delle loro possibilità. Ma ci rendiamo conto, dal poco che abbiamo potuto vedere con la nostra esperienza di circa una settimana di frequentazione e dalle sue narrazioni, che erano decisamente sotto dimensionati per il numero di piccoli ospiti.

 Gli altri bambini ospiti del centro

La struttura, al momento in cui nostro figlio l’ha lasciata per venire via con noi, contava 130 bambini. E ci hanno fatto sapere che era uno dei numeri più bassi degli ultimi anni. Quasi con orgoglio, la direttrice ci ha raccontato: “fino a pochi anni fa avevamo tra i 170 e 150 ospiti, poi la normativa è cambiata e ci hanno imposto di ridurre”.
Mi si gela il sangue al solo ritornare alla mente a quei 130 bimbi che ho visto, seguiti da così pochi adulti (per quanto preparati e ben disposti verso i piccolini presenti in hogar)! Li ricordo quei visetti imploranti, quei corpicini che si avvinghiavano a noi, chiamandoci “mamma e papa”… anche se noi eravamo lì per “un altro”! Tutti a chiederci di portarli via, tutti speranzosi che fossimo lì per lui/lei… non per nostro figlio!
La direttrice che ci accompagnava alla stanza dell’incontro con nostro figlio, abituata a tali scene, facendosi largo e allontanandoceli, ci rassicurava: “non vi preoccupate, non è perché siete voi, lo fanno con tutti gli adottanti che vengono a prendersi un nostro ospite”. Poco rassicurante. 

I piccoli occhi supplicanti dei bambini abbandonati

Ma io me li ricordo quei bambini e i loro piccoli occhi supplicanti (non con noi, allora, ma con tutti i genitori che entravano lì per “qualcun’altro”).
Quante speranze disilluse, quante volte devono aver provato la vana fiducia “di essere il prescelto”, quello salvato finalmente da una mamma e un papà, per poi ricadere nella quotidiana delusione del “magari domani”.
In effetti quando siamo stati lì per nostro figlio, in contemporanea c’erano altre famiglie straniere per la nostra stessa procedura.
Il giorno prima se n’era andato un bimbo adottato da genitori locali e, finito il nostro iter, una bambina sarebbe diventata figlia di una coppia nazionale.
C’è un “grande via vai” di coppie che entrano nell’hogar e che incontrano il proprio figlio, ma non si può comprendere quanti altri figli mancati restano in sospeso, delusi o arrabbiati, perché la gioia di una famiglia non è arrivata per loro.
Penso all’eterno limbo provato da questi piccolini, che vedono aprirsi le porte dell’istituto, ma non per loro.
Penso ai sentimenti discordanti che vivono questi bambini appena sentono che il cancello si apre rumorosamente, ma che poi si richiude lasciandoli, ancora lì, nel silenzio più straziante.
Penso a mio figlio, a quante volte deve aver provato ciò che continuano a vivere gli altri 129 bambini “rimasti”. Che pena deve essere stata per lui vedere che altri bimbi erano diventati figli e se ne andavano felici, lasciando dietro di sé il passato di abbandono e la tristezza della solitudine.
Uno. Uno solo. Un numero. Sento di aver fatto la differenza solo per mio figlio, per un bambino solo.
E gli altri? Attendono ancora? Con che emozioni?
La spensieratezza che leggo sugli occhi del mio bambino non la posso certo donare anche ad altri. Non li posso adottare tutti, anche se a ben vedere, il mio desiderio sarebbe di farli uscire tutti da quel luogo.

 La scelta di un’adozione a distanza

Visto che anche mio marito, con cui mi sono confrontata, prova il mio stesso dolore e l’impotenza nauseante di non poterne adottare altri, abbiamo deciso di fare qualcosa, la classica goccia nel mare: il sostegno a distanza e abbiamo chiesto al nostro Ente di abbinarci a un istituto nel paese di nostro figlio.

Non si può sostenere l’hogar dove ha vissuto nostro figlio e dove restano i potenziali 129 figli che hanno conquistato il nostro cuore, ma possiamo fare qualcosa per altri bambini, non adottabili, nel paese d’origine di nostro figlio. Speriamo che altri seguano il nostro esempio.”

Informazioni e domande sull’adozione internazionale

Chi sta considerando un’adozione internazionale o semplicemente desidera avere maggiori informazioni a su questi temi, può contattare l’ufficio adozioni di Ai.Bi. scrivendo un’e-mail a adozioni@aibi.it