Adozione internazionale in Russia: come affrontare l’iter dei viaggi multipli. Raccontato da una madre

“Non riusciamo ad immaginare quanto dolore provino i bambini che, conosciuti finalmente mamma e papà, li vedono andare via, dopo pochi giorni”

L’iter adottivo nella Federazione Russa è tra i più lunghi. Per adottare un bambino sono infatti previsti ben tre viaggi: il primo di circa una settimana, il secondo di quattro o sei giorni e il terzo di una ventina di giorni. E, se tutto fila liscio, tra il primo e terzo viaggi passano cinque mesi. Così i bambini e i genitori sono sottoposti a una vera e propria tortura.

Come si può gestire una situazione del genere? Riportiamo, per esempio, il racconto che un’operatrice di Ai.Bi. – Amici dei Bambini ha fatto della chiamata ricevuta da una madre adottiva che, tornata dal primo di questi viaggi, ha raccontato le emozioni dell’incontro con il proprio figlio.

“La telefonata – racconta l’operatrice – inizia con un semplice: ‘ciao, quando dobbiamo tornare in Russia?’. ‘Ma siete tornati da meno di 48 ore dal primo viaggio’, replico io. ‘Non posso stare senza di lui. È mio figlio, già mi manca e non so come dirglielo’, è la risposta della novella madre. Chi adotta in Russia ha questa ‘spada di Damocle’ che pende sulla propria testa, la brutta metodologia dei tre viaggi, che sono uno strazio per tutti. Noi operatori accompagniamo le coppie e sappiamo quanto male stanno le famiglie che tornano in Italia, senza il proprio figlio, perché per perfezionare l’iter adottivo c’è bisogno di vari passaggi (e viaggi) nel paese d’origine”.

Non riusciamo ad immaginare – prosegue – e, egoisticamente parlando, non vogliamo nemmeno pensarci, a quanto dolore provino i bambini che, conosciuti finalmente mamma e papà, li vedono andare via, dopo pochi giorni di vita a tre. Cosa succede nel cuore del bambino, quando vede i propri genitori prendere la porta dell’istituto e chiudersela dietro, costringendo il bimbo ad altri mesi di solitudine? È inimmaginabile, è uno strazio a cui non si vuole pensare. La madre ci racconta che il proprio figlio ha alcuni problemi di salute, non curati adeguatamente e ‘lasciati appositamente stare’, fin da quando è stato reso adottabile, ‘perché tanto a breve ci penseranno i nuovi genitori’. Così gli è stato detto in istituto. Ma nessuna difficoltà può fermare il cuore di una madre, che incontra il proprio figlio e gli vuole rendere giustizia! ‘Affronteremo tutto ciò che serve, a tempo debito, ora voglio solo che sappia che non è solo e che non vediamo l’ora di abbracciarlo di nuovo’, mi dice. La telefonata continua con la descrizione di quanto, già dalle prime ore, sia stato possibile creare un legame profondo, tra un bimbo che si affida senza indugio a chi si presenta come padre e madre, figure di cui non conosce il senso, avendo vissuto nella condizione di abbandonato per oltre metà della sua breve vita, e tra una coppia che in modo incomprensibile, non esprimibile a parole, accoglie questo piccolo ‘fascio di nervi’ e lo sente ‘suo’. ‘Non sa neanche abbracciare: se lo si prende in braccio resta tutto rigido e sembra uno stoccafisso congelato. Il papà, per tutta la settimana, lo ha volutamente abbracciato, seduto sulle sue ginocchia mentre giocavamo, gli abbiamo fatto sentire vicinanza fisica, perché nessuno lo ha mai abbracciato in vita sua: ti sembra possibile!’, ha raccontato ancora la madre”.

“Ma questo bambino – prosegue il racconto – si è fatto accompagnare in questa scoperta di cosa sia ‘famiglia’ e ha saputo lasciarsi andare, nonostante l’immensa paura di quello che stava capitando, le incomprensioni linguistiche e la diversità fisica. A fine settimana abbracciava i suoi genitori, era più morbido e rilassato. Aveva capito che quello era solo amore. È fiorito, si è aperto, come una perla, si è lasciato scoprire piano piano, ma con passi da gigante per un bimbo che vive in un istituto, dove il tempo non passa mai. È sbocciato e ha lasciato aperta la porta del suo cuore, vedendo che le porte dei suoi genitori erano spalancate a lui”.