Adozione. Quando si è pronti ad adottare un bambino?

La psicologa Lisa Trasforini: “quando al ‘vuoto della pancia’ si sostituisce il pensiero gioioso che, da qualche parte nel mondo, esista un bambino che aspetta proprio di essere accolto e amato”.

Quando ci si deve sentire pronti ad adottare un bambino? Qual è il momento in cui una coppia può serenamente decidere di accogliere nella propria casa un minore cui la vita ha riservato il dramma e il trauma dell’abbandono? Sono domande frequenti, queste, nella testa di quegli aspiranti papà e mamme adottivi che si trovano di fronte al bivio della scelta. Una scelta che, ovviamente, non è e non deve essere soltanto razionale, ma anche e soprattutto di cuore. Legata magari anche all’impossibilità di avere figli naturalmente, ma soprattutto a una tensione all’accoglienza che è una scelta di vita.

Una scelta che va affrontata con consapevolezza

Una scelta che, comunque, va fatta con consapevolezza. Questo perché il percorso, soprattutto in Italia, è lungo e faticoso, a causa delle lungaggini burocratiche e dei costi non certo irrisori. Un percorso che, nel nostro Paese, può durare diversi anni. Ma allora quando ci si può dire pronti ad adottare? Diversi sono gli elementi che portano a prendere questa decisione. Sicuramente si sente con grande e intenso fervore la volontà di donare il proprio amore ad un bambino che ha bisogno di essere coccolato e apprezzato.

Più che capire, si tratta di sentire…

Più che capire se si è pronte per l’adozione – spiega, a proposito delle aspiranti mamme adottive Lisa Trasforini, psicologa per l’Associazione Amici dei Bambini, in una sua intervista sul magazine Donna Moderna – si tratta di sentireE, per quanto mi insegna l’esperienza, si è pronte all’adozione quando al ‘vuoto della pancia’ si sostituisce il pensiero gioioso e costruttivo che, da qualche parte nel mondo, esista un bambino che aspetta proprio di essere adottato, accolto e amato”.

E questo nonostante “non riuscire ad avere un figlio, all’inizio, è un vero e proprio shock perché ci si sente imperfetti e, soprattutto se l’infertilità è unilaterale, subentra anche una sorta di senso di colpa nei confronti della relazione di coppia di cui un figlio è considerato, da sempre, la terza dimensione necessaria. La genesi della scelta di adottare (la scoperta dell’infertilità) può essere assimilata, come sensazione, a una malattia o a una mancanza, ma poi il fine è quello di una genitorialità piena a tutti gli effetti,costellata da gioie e dolori proprio come la genitorialità biologica”.

Così, da una situazione negativa, quella della difficoltà di accettare la propria incapacità di generare un figlio naturalmente, si passa a una positiva: la scelta di aprire le braccia a un bambino che, da qualche parte nel mondo, sta attendendo una seconda opportunità. L’opportunità di tornare a essere figlio.