Adozioni, la battaglia continua: dopo il colore della pelle la kafala

Con la sentenza odierna della Corte di Cassazione si apre un varco per una cultura dell’adozione internazionale attenta ai bisogni dei minori da adottare, qualsiasi sia il colore della loro pelle, la loro età, il loro stato di salute.

Ora sarebbe necessario eliminare un altro ostacolo che lascia in una zona grigia del diritto migliaia di minori provenienti dai Paesi africani dell’area mediterranea, riconoscendo nell’ordinamento italiano la kafala (ovvero il principale strumento di tutela dell’infanzia abbandonata nei Paesi africani dell’area mediterranea al pari di adozione e affido).

La kafala viene oggi riconosciuta dalla Convenzione sui diritti del Fanciullo dell’ONU come il più importante strumento di protezione dell’infanzia.

Tuttavia in Italia, a differenza degli altri Paesi europei (ad esempio Spagna, Belgio, Svizzera), non ha trovato ancora un riconoscimento nell’ordinamento interno. Eppure se si considerano i massicci flussi immigratori dai Paesi del bacino nord-africano nel nostro territorio e i preoccupanti tassi di abbandono di minori in questi Paesi non si capisce perché le istituzioni italiane non abbiano ancora dato un riconoscimento alla kafala. Questo comporta una violazione del principio di non discriminazione, riconosciuto dalle principali Convenzioni internazionali e ribadito con efficacia dalla sentenza odierna della Corte di Cassazione.

Anche i bambini abbandonati dal Marocco, dalla Tunisia e dall’Algeria dovrebbero avere la possibilità di essere accolti e non rimanere in un limbo solo perché sono nati in uno di questi Paesi.