Adozioni: quando vince la legge del sangue

Un minore non può essere considerato in stato di abbandono quando alcuni suoi parenti, entro il quarto grado, si siano fatti avanti e abbiano dato la disponibilità a prendersene cura. A deciderlo non senza qualche sorpresa è stata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2102/2011.

Secondo la Cassazione, tutto ciò vale anche se in passato questi parenti non hanno costruito “significativi rapporti” con il bambino. Il caso prende le mosse dalla richiesta dei nonni e degli zii materni di un bambino nato da genitori tossicodipendenti, ed immediatamente assegnato a una struttura assistenziale dopo la nascita.

Una sentenza importante perché segna un cambiamento di rotta nella giurisprudenza sull’argomento.

Fino a ieri tribunali e Suprema Corte avevano infatti seguito l’orientamento contrario, ovvero avevano considerato adottabile il bambino anche in presenza di parenti entro il quarto grado, dando più importanza ai “significativi rapporti”.

In assenza di questi, si sosteneva, non aveva senso decretare l’affidamento del minore a un parente mai visto.

La nuova sentenza stabilisce invece l’esatto contrario, in funzione della dichiarazione di disponibilità a occuparsene, se fatta entro un lasso di tempo ragionevole, e può quindi costituire la base per lo sviluppo della relazione familiare.

E’ chiaramente una sentenza che rivaluta l’importanza dei legami biologici rispetto a quelli sociali e che tenta di lasciare il più possibile il bambino, quando esistono risorse adeguate, nel suo contesto familiare.

Perché affidare un bambino a parenti mai visti? Questa sentenza segna così la vittoria della legge del sangue e scorda completamente l’importanza delle relazioni psicologiche e affettive, fattori finora considerati determinanti nelle procedure di definizione dello stato di adottabilità di un bambino.